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Introduzione.
Eugène Minkowski (1885-1972) è stato uno dei più brillanti ed originali psicopatologi del secolo scorso. Ha identificato la vita psichica con un incessante flusso vitale, che si contrappone alla staticità e all’inerzia del disturbo mentale.
Minkowski ha tratto ispirazione da E. Bleuler nello studio dei fattori psicologici alla base schizofrenia. Ha lavorato in Svizzera, a inizio carriera, nella Clinica diretta da quest’ultimo.
Si stabilì quindi in Francia, dove esercitò la professione di psichiatra presso l’Ospedale di S. Anna di Parigi. Proprio un filosofo francese, Henri Bergson, influenzò profondamente Minkowski: soprattutto nella convinzione che la vita è adesso, in un travolgente slancio vitale.
H. Bergson e lo “slancio vitale”.
Minkowski rivelò di aver tratto grande ispirazione da un testo fondamentale di Bergson, “Saggio sui dati immediati della coscienza” (1889).
Dal titolo dell’opera è evidente l’intento dell’autore: ricondurre l’esperienza psichica al sentimento immediato di vivere, senza filtri intellettualistici.
Nel testo “L’evoluzione creatrice” (1907), Bergson sostenne che la vita è innanzitutto una corrente di coscienza, corrispondente ad uno slancio vitale.
Si deve intendere questa forza trascinante come una “vis a tergo”, che precede ogni distinzione tra soggetto ed oggetto.
La vita è una creazione libera ed imprevedibile: chi la riduce ad energia meccanica perde di vista la caratteristica fondamentale dell’esistenza, che è il suo spontaneo divenire in un flusso armonico.
Per Bergson è l’intuizione il mezzo per poter accedere alla vita in tutta la sua originalità.
Realizzando una sintesi tra intuizione e ragione, è possibile, attraverso l’esperienza riflessiva, prendere coscienza di sè.
Quando l’individuo si sente illuminato dall’auto-consapevolezza, può diventare protagonista attivo e creatore della propria vita.
Attraverso l’intuizione l’uomo può riconoscersi parte integrante di questo slancio vitale, fino ad identificarsi con questa energia che tutto unifica.
E. Minkowski e l’esperienza del “tempo vissuto”: lo slancio vitale diventa “personale”.
Nel testo “Il tempo vissuto” (1933), Minkowski inserisce il fenomeno dello slancio vitale nella categoria del tempo soggettivo: non è più una successione meccanica di eventi.
Otteniamo un tempo “vivo”, da intendersi come l’esperienza dell’Io nel suo incessante divenire: è uno slancio personale, che corrisponde alla “mia” sensazione di “essere al mondo”, unica nella sua originalità, ma al tempo stesso universale.
Il tempo e la persona sono immersi nel fluire armonico del movimento. Questa esperienza corrisponde al “Panta rei” di Eraclito. “Tutto scorre” è tuttavia una frase inspiegabile per l’intelletto.
Per cominciare, “tutto” é un termine infinito che la mente non può afferrare. Se poi affermo che tutto “diviene”, l’intelletto non riesce a concettualizzare questo fluire continuo. La mente può analizzare dei dati solo quando le informazioni sono fissate su uno spazio statico ed immutabile.
Il tempo come categoria intellettuale e come sentimento dell’Io.
Scrive Minkowski:
“Di solito, si considera il tempo come un prodotto di astrazione, riconducibile all’origine e ai cambiamenti concreti osservati sia nella nostra coscienza che nel mondo esterno.
Il tempo, invece, si presenta a noi come un fenomeno primitivo, vivo e sempre vicinissimo a noi (…).
Non si esaurisce affatto nella successione dei nostri sentimenti, pensieri e atti di volontà. Anzi, direi che esso è percepito in tutta la sua purezza quando non c’è alcun pensiero, alcun sentimento preciso nella coscienza; la riempie, allora, interamente, cancella i limiti tra io e non-io ed abbraccia tanto il mio divenire che il divenire dell’universo, il divenire insomma.
Li fa confluire e confondersi, il mio io sembra risolversi interamente in esso, senza che per questo io provi un penoso sentimento di offesa all’integrità della mia personalità. Al contrario, è il solo modo di rinunciare al proprio io senza una rinuncia vera e propria.
Noi ci confondiamo con le onde possenti, impersonali, direi anonime del divenire, senza difficoltà, senza la minima resistenza, addirittura con un senso di benessere e di quiete“.
Il sentimento di beatitudine: la sintesi tra Io e non-Io.
Quando ci sentiamo in piena armonia all’interno del mondo, ci identifichiamo con la Natura stessa. E’ il momento ideale di sintesi tra Io e non-Io: un “qui ed ora” non riducibile alle convenzionali categorie di spazio e tempo.
È quell’attimo in cui, in uno stato di gioia e di serenità, io non avverto alcuna separazione tra me stesso ed il mondo. È un momento unico, che l’intelletto non può analizzare.
La mente intellettuale divide, distingue tra passato e futuro, tra me stesso e ciò che è “altro da me”. Si perde fatalmente, però, quando intende definire il momento del “qui ed ora”.
L’adesso non è accessibile all’intelletto.
L’ “adesso”, il tempo presente, è proprio lo slancio vitale, il fluire del movimento che è la vita stessa, stabile nel suo divenire.
Nel campo della psicologia della comprensione, il tempo si configura innanzitutto come sentimento dell’Io, che dà vita allo slancio personale.
L’adesso è lo strumento con cui la psiche umana prende coscienza di sè. Ognuno di noi, quando diventa consapevole della propria attività psichica nel presente, può elevarsi al di sopra degli astratti e rigidi confini del pensiero intellettuale.
Scrive Minkowski:
“Adattato all’essere, il pensiero si dimostra incapace di accostarsi al divenire. Il divenire è inaccessibile alla conoscenza”.
“L’adesso si impone d’emblèe come qualità: non ha nulla a che vedere con le minime particelle di tempo misurabile che noi possiamo rappresentarci, ancor meno con l’infinitamente piccolo della fisica teorica (…).
“L’adesso è sinonimo di esistenza: solo il presente esiste, ciò che non è adesso non esiste”
La mente razionale non riesce a fermarsi nell’adesso: l’intelletto, per attivarsi, necessita che uno stimolo recettoriale arrivi al sistema nervoso centrale. Il nostro cervello si accende quindi, per così dire, “un attimo dopo” la sensazione: si perde di vista l’istante presente.
L’intelletto non vive, piuttosto sopravvive attraverso la memoria del passato o la costruzione di immagini mentali relative al futuro; va in crisi quando deve invece concentrarsi sul momento attuale, proprio su questo momento.
L’essere umano, quando studia se stesso, sembra però abusare dello strumento intellettuale. È come se ognuno di noi avesse il timore di perdere l’identità individuale lasciandosi andare al presente.
Nel tentativo di evitare il momento attuale, l’uomo costruisce quindi una serie di categorie mentali per analizzare il mondo, perdendo però l’essenza della realtà stessa, che vive di spontaneità e di immediatezza.
In contrasto col senso comune, sono le scienze naturali ad essere astratte, essendo fondate sull’intelletto.
L’unica vera scienza concreta è invece quella dell’adesso, accessibile all’uomo tramite la sua capacità di intuire il sentimento del tempo. Questo ci consente di aprirci alla vita concreta.
Che cos’è quindi lo slancio vitale?
Minkowski definisce lo slancio vitale come l’energia che “crea l’avvenire davanti a noi.”
È come una forza che mi spinge, ma non mi rende assolutamente passivo nei confronti di forze esterne a me.
Sono io, che, con la mia volontà ed il mio essere, tendo verso l’avvenire, realizzando così la pienezza della mia vita.
Nel mio sentimento di andare verso l’avvenire, ho infatti la percezione immediata di una progressione.
In questo processo, arrivo a superare le divisioni della mente per giungere ad una posizione sovraindividuale. A questo punto posso provare una sensazione di quiete e di energia al tempo stesso: sono venuto a contatto con la parte più autentica di me, che si realizza quando mi trovo nel ruolo di Soggetto universale.
Dal momento che questo slancio vitale pervade ogni persona, andando oltre me stesso posso trovare una analogia con l’altro: il prossimo diventa parte di me. Ho quindi realizzato un vero e proprio contatto vitale con il mondo.
Il “contatto vitale” con la realtà e la psicopatologia.
La perdita del contatto vitale è alla base dei disturbi psichiatrici più gravi.
Minkowski, citando il maestro Bleuler, distingue due principi fondamentali della vita psichica: la schizoidia e la sintonia.
La “schizoidia” corrisponde ad uno stato di isolamento, alla percezione di essere distinto dall’altro; si associa al ripiegamento dell’individuo su se stesso.
La “sintonia” è invece la volontà di apertura verso l’altro, nel riconoscimento empatico di qualcosa che ci accomuna (presente in me, in lui e nell’universo intero).
La dialettica tra sintonia e schizoidia all’interno di ognuno di noi.
La sintonia e la schizoidia non devono essere concepite come due entità rigide che si escludono a vicenda; al contrario, sono due sentimenti che non possono esistere l’uno senza l’altro.
Scrive, infatti, Minkowski:
“Questi due principi, malgrado il loro carattere apparentemente contraddittorio, non si escludono; sono indispensabili, sia l’uno che l’altro, hanno ciascuno una parte da compiere ed è alla loro armoniosa coesistenza che sembra dovuto il massimo di equilibrio, di felicità e di rendimento, cui crediamo di avere il diritto di aspirare”.
È fondamentale una visione dialettica tra la schizoidia, come esigenza di costruire uno spazio riflessivo su se stessi (durante una fase di isolamento dal mondo), e la sintonia, come volontà di apertura verso l’altro e verso la realtà che ci circonda.
Quando queste due esigenze sono in armonia abbiamo una vita psichica “sana”; quando, invece, vi è uno squilibrio tra queste due esperienze, ecco che insorge la patologia.
La schizofrenia e la perdita del contatto vitale.
Nella genesi della schizofrenia, secondo Minkowski si deve partire dall’autismo: il paziente si ritira dal mondo per ripiegarsi in sè, fino a perdere il contatto con la realtà condivisa.
Minkowski non interpreta l’autismo, però, come un comportamento passivo dell’individuo. Secondo l’autore, il paziente possiede un’attività autistica, che, quando troppo intensa, causa la perdita del contatto vitale col mondo esterno: si assiste ad uno squilibrio tra schizoidia e sintonia, a favore della prima.
L’attività autistica risulta il disturbo generatore della schizofrenia.
Minkowski osserva: “Il fenomeno rappresentativo della schizofrenia è l’attività personale che contiene, nella sua intima essenza, un abbozzo di autismo.”
Quando l’attività autistica prevale sull’esigenza di apertura, il mondo interno cresce a dismisura, in modo abnorme. Questo contesto diventa un terreno fertile per la costruzione di una realtà alternativa, fino all’insorgere dei deliri e dei fenomeni dispercettivi.
I disturbi dell’umore e le alterazioni del sentimento del tempo.
Minkowski ritiene che anche i disturbi dell’umore insorgano da uno squilibrio tra schizoidia e sintonia: le patologie maniaco-depressive sarebbero riconducibili ad alterazioni qualitative del sentimento di sintonia.
Nei disturbi dell’umore il contatto vitale è sempre presente: i pazienti riescono a costruire una relazione con l’interlocutore (compreso il terapeuta), ma il soggetto non riesce più ad esprimersi ed a realizzarsi nel tempo.
“Il contatto esiste, ben inteso, ma è soltanto un contatto istantaneo, gli manca la penetrazione, non c’è in esso durata vissuta”.
Il paziente maniacale ed il suo “intrappolamento” nell’istante presente.
L’eccitato maniacale vive imprigionato in un istante fisso, cristallizzato. È come se il paziente fosse ingabbiato in un tempo che non può più fluire nel suo slancio, ma che diventa un peso; l’individuo se ne può liberare solo attraverso uno scarico pulsionale.
“Ciò che manca al nostro maniacale è il dispiegarsi nel tempo”.
Se il maniacale non viene soddisfatto può infatti agitarsi ed avere comportamenti violenti, proprio perché sente dentro una grande energia, ma non riesce a veicolarla nel contesto in cui vive e nel tempo.
Come sottolineava un collega di Minkowski, a volte si riesce a ridurre l’agitazione dei pazienti maniacali portandoli a concentrare la loro attenzione sul passato. E’ un tentativo di indurre l’individuo a ritrovare la propria identità nella storia personale.
Se invece il paziente viene lasciato da solo nell’istante presente, si perde. Il soggetto si sente prigioniero, con le sue energie abnormi, di un tempo che non scorre più nel divenire. Alla base c’è l’intensa frustrazione di non avere più uno slancio armonico con cui poter dispiegare la propria attività psichica.
La depressione e l’arresto del tempo vissuto, che si ripiega nel passato.
Nelle gravi forme di depressione, come la melanconia, il tempo sembra addirittura arrestarsi.
Scrive Minkowski:
“La nostra vita è essenzialmente orientata verso l’avvenire. Dove si registra un rallentamento patologico, ne risulterà ora l’impossibilità di liquidare le situazioni presenti, ora il sentimento di una determinazione ineluttabile ad opera del passato”.
Il passato assume, nel melanconico, un ruolo preponderante. Il paziente non riesce più a provare uno slancio verso il futuro, ma è condannato a sentirsi da solo in una realtà predeterminata, in cui tutta la sofferenza già vissuta tornerà eternamente a ripresentarsi.
Alterazioni dello slancio vitale, sintomi ossessivi e idee di suicidio.
Spesso, nella depressione, coesistono sintomi ossessivi. Il paziente sembra cercare di ritrovare il tempo che ha perduto, in una dimensione, però, solo meccanica ed intellettualistica.
Una paziente seguita da Straus, collega di Minkowski, diceva di sentire il tempo avanzare solo quando stava lavorando a maglia.
In questo arresto del tempo interiore, fonte di estrema sofferenza, l’individuo prova almeno ad aggrapparsi ad un tempo meccanico, spazializzato. Si riduce però, in questo modo, ad un automa, a livello delle cose. È un soggetto spogliato, impoverito, ridotto al ruolo di un oggetto.
Nelle formi più gravi di depressione sono molto comuni i pensieri di morte e di suicidio.
Un paziente di Gebsattel credeva che il suicidio non gli avrebbe causato totalmente la morte, ma che anzi lo avrebbe portato alla guarigione.
È questa una contraddizione evidente per noi, ma non per il paziente depresso. E’ come se lo spegnimento della vita individuale fosse una liberazione da questo quadro statico di irrigidimento e di arresto del tempo, che sembra non avere soluzione.
Paradossalmente, il passaggio tra la vita e la morte è l’unico avvenimento che può permettere al paziente di creare un movimento dal presente al futuro.
In questi casi, lo slancio vitale porterebbe alla morte, ma consentirebbe anche l’emozione di esistere.
Conclusioni.
Minkowski propone un’evoluzione della mentalità positivista, che indicava la scienza naturale come l’unica fonte di apprendimento dell’essere umano.
La più preziosa sorgente di conoscenza è invece il tempo presente, che risiede dentro di me e non nell’esteriorità naturale.
La categoria del tempo, secondo il Positivismo, esiste di per sè. L’Io dovrebbe adeguarsi al tempo attraverso una serie di reazioni di adattamento passive: a determinati stimoli corrispondono reazioni prestabilite, per cui l’essere umano non è che un automa.
In questo contesto, non ha senso neppure parlare di una psicologia dell’individuo.
Lo “slancio vitale” corrisponde alla nostra spontaneità emotiva.
La spontaneità, per definizione, non può essere un fenomeno di studio delle scienze naturali. Altrimenti dove va a finire la spontaneità?
Non dobbiamo, comunque, rinunciare al nostro pensiero logico per poter interpretare l’esperienza dello slancio vitale.
La spontaneità è compatibile con una logica dialettica dell’esistenza umana.
La nostra vita interiore non è dominata dal caos o dal caso: è comprensibile in una logica dialettica, che, dal momento della mia nascita, mi pervade. Non appena mi ritrovo “gettato” nell’esistenza, avverto spontaneamente la contrapposizione tra me stesso e il mondo (momento dell’antitesi).
Lo “slancio vitale” corrisponde alla mia esigenza di auto-superamento continuo. La coscienza individuale nasce dal sentimento di qualcosa che “non va”, “qualcosa” che “non sono io” ma che mi condiziona e che devo oltrepassare.
Questo “qualcosa” è il mondo esterno, un’entità che si oppone a me, su cui voglio prevalere per comprendere “chi sono”.
L’ordine naturale sembra già tutto precostituito. Ma io, come soggetto, aspiro sempre a romperlo ed a ricostruirlo, per costituire il “mio ordine”, il “mio mondo”. Lo slancio vitale rappresenta la mia volontà di vivere e di affermare me stesso, finchè “io” e “mondo” diventeranno un’unione armonica e ideale (momento della sintesi).
Questo slancio corrisponde a me stesso, ma al tempo stesso trascende i miei confini per abbracciare l’intera umanità, nella tensione verso un ideale di realizzazione universale.
Posso accedere alla mia spontaneità se riesco a superare la grigia dimensione dell’intelletto, per immergermi nell’incessante flusso vitale alla base dell’esistenza.
La depressione: patologia clinica o sentimento universale di insoddisfazione?
Il suicidio come sintomo di una patologia psichiatrica e come problema esistenziale.
Per approfondimenti, si consiglia il seguente video:
https://www.youtube.com/watch?v=NaEGOFm5LRg&t=3134s
Una opinione su "Lo “slancio vitale” dell’esistenza umana: la vita è adesso – da Bergson a Minkowski."