Introduzione
I sentimenti sono gli atti psichici più autentici e personali di ognuno di noi. Nel provare ad analizzarli, tuttavia, assistiamo ad un paradosso: più cerco di dare una definizione ai sentimenti, più mi distacco da essi, perché passo dal punto di vista soggettivo a quello oggettivo.
Ad esempio: posso definire la tristezza come un vissuto doloroso di insoddisfazione, dovuto al divario tra i miei ideali ed una realtà spiacevole.
Quindi potrei descriverla attraverso le modifiche del comportamento oggettivo: la tristezza si esprime con una mimica mesta, con il pianto e si può associare a rallentamento psicomotorio.
Infine, è possibile effettuare una correlazione con alterazioni neurofisiologiche: una carenza di dopamina a livello della via meso-corticale si associa ad abulia, apatia ed a un vissuto emotivo di autosvalutazione e di pessimismo (punto di vista della spiegazione biologica).
A questo punto, però ho perso di vista il soggetto che prova questo sentimento.
La definizione scientifica di un sentimento ha il limite di perdere la sua spontaneità e immediatezza.
Il linguaggio della letteratura, che non è logico ma è analogico e simbolico, è spesso più idoneo ad esprimere uno stato affettivo nella sua concreta attualità.
Tornando al vissuto di tristezza, per immaginare che cosa sta provando il paziente è molto più proficuo il tentativo di stabilire un’analogia con la mia tristezza (essendo uno stato d’animo universale). Questo è il punto di vista della comprensione, che permette una conoscenza intuitiva ed immediata del sentimento di un altro essere umano.
Il metodo della comprensione è stato utilizzato, in psichiatria, dalla corrente fenomenologico-esistenziale, per salvaguardare l’originalità del sentimento umano.
La fenomenologia riconosce la dignità di studio dei sentimenti umani.
La fenomenologia è nata con il contributo di Edmund Husserl (1859-1938) per mettere al centro della ricerca proprio la coscienza umana e la sua intenzionalità, ovvero il soggetto ed il problema delle sue potenzialità conoscitive.
In “L’idea della fenomenologia” (1907), l’Autore si esprime così: “All’inizio della critica della conoscenza, l’insieme del mondo, la natura fisica e psichica, finalmente anche il mio io, così come tutte le scienze che hanno tutto questo come loro oggetto, portano il marchio della problematicità”.
Il sentimento umano nasce proprio dalla percezione, ancora irrazionale, di questo problema fondamentale: la relazione tra me stesso ed il mondo esterno. Una relazione che definiamo dialettica perché in continuo divenire, sorta dal contrasto tra soggetto (me stesso) e oggetto (il mondo, l’altro, il mio corpo). Il sentimento è l’atto di avvertire, in modo ancora ineffabile, questa contrapposizione originaria.
Se adottiamo il punto di vista delle scienze naturali, invece, assistiamo solo ad una serie di leggi causa-effetto, traducibili in formule matematiche.
Nel naturalismo non vi è alcuna problematicità, nessuna dialettica, quindi nessun sentimento. La scienza naturale nasce proprio per pervenire ad una visione oggettiva della realtà. Ogni sentimento umano, in questo contesto, è un fattore di confondimento.
La psicopatologia, come noto, ha avuto grande influenza dalla fenomenologia, per l’esigenza di porre al centro dello studio non il mondo naturale, oggettivo, ma il vissuto soggettivo del singolo individuo.
Una semeiotica dei sentimenti umani.
K. Schneider, ispirandosi alla fenomenologia di Max Scheler e di Nicolai Hartmann, ha dedicato l’Appendice della sua “Psicopatologia Clinica” alla psicologia dei sentimenti e delle tendenze istintive.
Schneider definisce i sentimenti come “stati dell’Io”, “qualità dell’Io esperite senza mediazione”, ovvero senza l’intervento del filtro intellettuale.
Caratteristica dei sentimenti è la loro dialetticità, ovvero la loro presentazione attraverso coppie di contrari, associate ad un vissuto piacevole o spiacevole.
In base alla loro durata, distinguiamo:
Stati sentimentali brevi, reattivi (Affekte):
Emozioni, di carattere acuto, correlati spesso a manifestazioni somatiche (es. paura, rabbia, disgusto, entusiasmo). Per “affetto” si intende il comportamento esteriore, rilevabile all’osservazione, sotteso dal sentimento.
Stati sentimentali duraturi (Stimmung):
Umore, ovvero l’insieme di sentimenti non reattivi, connessi con la personalità dell’individuo.
In base alla loro origine, distinguiamo invece sentimenti vitali, sentimenti psichici ed il sentimento dell’Io.
È importante precisare, però, che ogni distinzione è solo convenzionale: tutti i sentimenti, indipendentemente dalla loro tipologia, sono in continua relazione tra loro e si influenzano reciprocamente in ognuno di noi, anche in questo istante.
I sentimenti vitali
Sono differenti dalle sensazioni: quest’ultime dipendono dall’attivazione delle vie afferenti neurologiche.
I sentimenti vitali sono invece il risultato di come io ho esperienza delle mie sensazioni (relazione dialettica tra soggetto e le sensazioni che provengono dall’oggetto). Sono l’insieme di stati emotivi dell’Io associati alla sfera somatica e neurovegetativa.
Le pulsioni sono i sentimenti vitali legati all’antitesi dialettica piacere-dispiacere, connessa al soddisfacimento o meno dei miei istinti: sessuali, aggressivi, alimentari, di quiete e riposo.
Sono inoltre sentimenti vitali quelli che si riferiscono alla relazione che stabilisco con il mio corpo (sentimenti somatici): forza-debolezza, benessere-malessere, gioia-tristezza, eccitazione-depressione, rilassamento-tensione, sentirsi sani o malati, abili o disabili.
Sentimenti vitali e disturbi dell’umore.
Negli stati depressivi sono molto comuni sentimenti vitali abnormi, segno della crisi della relazione tra soggetto e corpo.
Si possono manifestare quindi, come noto, diversi sintomi caratteristici: perdita di piacere per la maggior parte delle attività quotidiane, di energia, di concentrazione, disregolazione dell’appetito e del sonno, calo del desiderio sessuale.
Nelle sindromi depressive assistiamo alla crisi dello slancio vitale, termine proposto da H. Bergson e definito da E. Minkowski come “il fenomeno che crea l’avvenire davanti a noi”.
Possiamo definire lo slancio vitale come il sentimento di armonia con il mio corpo, che mi consente di interagire con il mondo con un vissuto di gioia, in sintonia con il progetto di vita in divenire che sto costruendo.
K. Schneider definisce invece un peculiare sentimento vitale patologico: la tristezza vitale. E’ un vissuto depressivo ed angoscioso, che spesso si localizza come una tensione in un parte del corpo (es. un’oppressione epigastrica, toracica, alla gola, alla fronte), in assenza di una patologia internistica o di effetti di sostanze.
La “tristezza vitale”, secondo l’Autore, è un sintomo cardinale della “depressione ciclotimica” (oggi diremmo “depressione bipolare”). In questo contesto, io non riesco a percepire una sufficiente energia vitale per proiettarmi nel futuro.
“Solo con e per lo slancio vitale il divenire tutto intero comincia ad avere un senso” – afferma Minkowski. Se non riesco a proiettarmi nel futuro, avvertirò la sensazione che il tempo si è fermato e che la mia vita è divenuta priva di significato.
Depressione e mania.
Un arresto dello slancio vitale costituisce la base per la melanconia. E’ un grave stato depressivo caratterizzato da mancanza di reattività agli stimoli, assenza di piacere per le attività quotidiane e da una sensazione soggettiva di passività, di avere perso la spontaneità e l’intenzionalità nell’agire.
Il paziente melanconico è caratteristicamente inerte e bloccato dal punto di vista psicomotorio (anche se possono essere presenti episodi saltuari di agitazione). Avverte una penosa riduzione di tutti gli istinti vitali (appetito, sessualità, sonno), soprattutto nelle prime ore del mattino.
Nella mania assistiamo invece ad un’amplificazione abnorme dei sentimenti vitali.
Il soggetto avverte un’energia psicofisica anormalmente elevata, un eccitamento della sfera motoria (euforia che può trasformarsi facilmente in disforia e in irritabilità). Il maniacale percepisce un aumento del desiderio sessuale ed un diminuito bisogno di sonno (differente dalla disregolazione del sonno del depresso, che è fonte per il paziente di disagio e di sofferenza).
Sentimenti psichici
I sentimenti psichici sono stati relativi non alla percezione fisica del mio corpo (come i sentimenti vitali), ma alla rappresentazione di me stesso e degli altri, secondo la mia visione del mondo. Siamo in piena sintonia con A. Schopenhauer quando afferma che “il mondo è la mia rappresentazione”.
Un paziente può affermare: “Non ho malattie che mi destabilizzano; sento che il mio corpo è sano e non ho preoccupazioni materiali su come andare avanti…eppure sono infelice perché mi sento un fallito”.
I sentimenti psichici sono di norma strettamente correlati ai giudizi di valore che il soggetto ha sviluppato nel corso della sua storia personale, inevitabilmente influenzati dalle norme ambientali e sociali.
Sono esempi di sentimenti psichici le seguenti coppie dialettiche: desiderio-avversione, ammirazione-disprezzo, colpa-innocenza, fiducia-diffidenza, gratitudine-invidia, solidarietà-competizione, integrazione-solitudine, autonomia-dipendenza.
Tali stati d’animo hanno un’implicita connotazione di giudizio, positiva o negativa, e possono riguardare se stessi o gli altri. In base ai sentimenti psichici ed alla nostra rappresentazione del mondo, ognuno di noi costruisce la sua realtà.
Vi sono infinite sfumature: un soggetto può provare disprezzo verso l’altro in quanto ha proiettato in lui un proprio difetto, e può quindi estendere il sentimento a se stesso.
Esistono anche sentimenti ambivalenti, ad esempio:
– La nostalgia: rievocazione piacevole di un oggetto amato, cui si associa, al tempo stesso, un vissuto spiacevole di privazione per la perdita di esso.
– La rassegnazione: accettazione di qualcosa che è accaduto, associata tuttavia a frustrazione per l’incapacità di modificare l’evento.
– La commozione, in cui gioia e dolore risultano frammisti in una reazione emotiva che si esprime direttamente attraverso il corpo.
Il sentimento dell’Io (coscienza dell’Io)
Tutti i sentimenti si riferiscono ad un Io come presupposto. I sentimenti “vitali” si riferiscono alla relazione Io-percezioni corporee. Quelli psichici alla relazione Io-rappresentazioni mentali (incentrate sul valore personale).
Esiste però un sentimento cardinale, presupposto di tutti gli altri: il sentimento dell’Io (coscienza dell’Io secondo K. Jaspers). E’ il soggetto che avverte e riconosce se stesso.
L’Io è il sentimento più profondo e pervasivo, che va oltre i concetti limitati di “corpo” e di “mente”.
L’Io implica la consapevolezza di essere (“io sono”). Posso divenire consapevole di me stesso attraverso un incessante sforzo per superare i miei limiti costitutivi, per aspirare alla mia ideale realizzazione.
L’auto-realizzazione coinciderebbe con l’onnipotenza, con il diventare Dio, perché ogni essere umano non si pone limiti sul piano del sentimento. Pur sapendo che questo obiettivo è inconcepibile, è comunque un ideale che mi mantiene vivo.
L’esistenza presuppone un Io in costante tensione verso qualcosa; l’infinito desiderio di realizzare me stesso mantiene attiva la mia vita psichica.
Il significato della trascendenza
Di fronte alla consapevolezza dei miei difetti e della mia manchevolezza, io posso attribuire ad un essere spirituale, come Dio, un potere onnicomprensivo: posso quindi provare verso questa figura devozione, fiducia, ma spesso anche risentimento e frustrazione.
Oppure posso postulare l’esistenza di una Natura non personificata (l’Universo), dal quale sono dipendente attraverso le leggi della fisica e del meccanicismo.
Anche in questo caso, è impossibile non provare sentimenti connessi con questa condizione.
Possiamo percepire entusiasmo aspirando ad integrarci con l’Universo studiando le sue leggi, per aumentare il nostro spazio di autonomia.
Oppure vivere un senso di alienazione e di annichilimento, dalla percezione che ognuno di noi, come essere umano, appare come un granello di sabbia rispetto all’immensità dell’Universo ed alla potenza delle leggi naturali.
Possiamo percepire un simile vissuto di impotenza quando siamo travolti da un evento che supera le nostre capacità di agire, come una catastrofe naturale.
L’Io, nella relazione dialettica con il mondo, sviluppa vissuti pervasivi ed assoluti, a connotazione positiva o negativa.
Sentimenti di integrazione:
Beatitudine, illuminazione, armonia, estasi. In essi si assiste ad una completa identità tra soggetto e realtà oggettuale. Il soggetto mantiene la sua individualità, ma al tempo stesso si sente parte di una totalità che lo abbraccia e potenzia le sue facoltà.
Ad essi si contrappone dialetticamente una serie opposta di stati d’animo.
Sentimenti di alienazione:
Angoscia, disperazione, vergogna, annichilimento, dannazione, impotenza.
Il soggetto si sente inerme, in balia di una Natura indifferente nei suoi confronti. Il mondo naturale può anche assumere le sembianze di una divinità ostile, che lo condanna per le sue azioni ad un eterno presente di sofferenza.
In ogni individuo, sano o affetto da patologia mentale, ateo o religioso, sono presenti sentimenti questi sentimenti assoluti, che è necessario indagare per far luce sulla sua personalità.
I sentimenti relativi all’Io hanno un intenso coinvolgimento somatico, a conferma della loro costante interconnessione con la sfera vitale dell’individuo.
A differenza dei sentimenti vitali e psichici, che hanno un contenuto specifico (il mio corpo, la mia visione del mondo), i sentimenti relativi all’Io possono anche essere “senza oggetto”.
Sentimenti senza oggetto.
Secondo K. Jaspers, l’angoscia è senza oggetto. Per questo differisce dalla paura, che è sempre diretta verso qualcosa.
Dal punto di vista della presentazione esteriore, spesso l’angoscia può assumere le caratteristiche della crisi di panico. Il soggetto, senza un’apparente causa scatenante, avverte sintomi improvvisi di ansia, tachicardia, dispnea, tremori, con sensazione di perdita di controllo delle proprie azioni, vissuti di derealizzazione, talora paura di impazzire o di morire.
L’angoscia, come proposto da S. Kierkegaard (filosofo precursore dell’esistenzialismo) è uno stato d’animo primitivo, derivante da una relazione tra il soggetto ed un mondo esterno indefinito, vuoto, astratto.
L’angoscia è la sensazione generata dal “sentimento della possibilità“, che si configura in ogni scelta che l’individuo si trova a compiere, in relazione al presente ed al futuro.
La libertà è la nostra aspirazione, ma è fonte di angoscia.
La possibilità di scelta, per l’essere umano, è la radice di ogni sentimento dialettico e contraddittorio.
Dalla consapevolezza della libertà di agire possono nascere stati d’animo di entusiasmo, di aspirazione all’autonomia, fino all’onnipotenza. Al tempo stesso, la scelta può provocare un’angoscia paralizzante, per il riconoscimento dell’infinita responsabilità che il soggetto si assume.
“Questo elemento (la scelta) non è calma nè riposo; non è neppure turbamento o lotta, perchè non c’è ancora niente contro cui lottare. Non è che un niente; ma proprio questo genera angoscia” (S. Kierkegaard).
Durante la crisi di panico, spesso assistiamo a questo atteggiamento da parte del paziente. Il soggetto trema ma è inerte, spesso sdraiato su una barella del Pronto Soccorso. Parla in modo concitato, ma fornisce scarse informazioni sulle circostanze che l’hanno portato nello stato in cui si trova. Soffre terribilmente, eppure sembra non gli sia accaduto nulla.
Il soggetto affetto da crisi di panico sembra esemplificare una condizione umana in cui è proprio l’insieme di possibilità indefinite (ovvero, concretamente, il nulla) a provocare un sentimento di estrema inquietudine.
Il sentimento della mancanza di sentimento.
E’ caratteristico degli stati depressivi gravi (spesso con caratteristiche melanconiche). K. Jaspers lo associa alla crisi del sentimento dell’Io.
Il soggetto sembra aver perso la spontaneità affettiva, l’immediatezza che è caratteristica del sentimento stesso.
Egli perde la capacità di provare sentimenti, ma paradossalmente si lamenta di questo. K. Schneider preferisce, in modo significativo, utilizzare il termine di “sentimento per la mancanza del sentimento”.
Assistiamo ad un arresto del rapporto dialettico tra il soggetto ed il mondo oggettuale. Percependo una sofferenza intollerabile, il paziente è costretto a ritirarsi in un mondo interiore, privo di relazioni con l’ambiente esterno e con il suo stesso corpo. Quest’ultimo è la sorgente primaria di informazioni sensibili e, quindi, fondamentale per l’elaborazione di sentimenti.
Un sentimento primario deve però rimanere: la consapevolezza che “io sono”, e resto al momento solo e deprivato dalla relazione con il mio corpo e con il mondo esterno.
Tale sensazione risulta fonte di estrema sofferenza per il paziente e può costituire la base di sviluppi deliranti melanconici (“io non esisto più”; “il tempo si è fermato”; “il mondo è finito”).
Il sentimento di vergogna
Secondo Freud, il vissuto di colpa deriva dalla coscienza morale, condizionata da fattori ambientali e sociali. Ogni colpa è riparabile attraverso il pentimento ed un’azione riparatoria.
Il sentimento di vergogna è invece un sentimento intrinseco all’Io, primitivo e pervasivo: io mi sento intrinsecamente inadeguato e manchevole rispetto ad un ideale astratto di me stesso.
A differenza della colpa, la vergogna non è riparabile con un’azione: non posso fare nulla, neppure pentirmi, perché non c’è un’azione di cui posso rimproverarmi. La vergogna si associa a sentimenti di frustrazione e di disperazione.
Ellen West, paziente di Binswanger, affermava: «Così deve sentirsi l’assassino che ha continuamente davanti agli occhi l’immagine di colui che ha ucciso (…). Lo attira irresistibilmente il luogo del delitto. E sa che recandovisi si renderà sospetto; ancor peggio: di quel luogo prova orrore, eppure deve tornarci (…). Ma l’assassino può trovare la liberazione. Va alla polizia e si confessa. Nella pena espia il suo delitto. Io invece non posso trovare liberazione, se non nella morte».
(da L. Binswanger, Il caso Ellen West, 1944).
Mentre la colpa è uno stato d’animo filtrato dall’intelletto, la vergogna si esprime immediatamente attraverso il corpo, che “tradisce” il soggetto: quando si prova vergogna si arrossisce, per l’imbarazzo o la rabbia. Come reazione ad uno stato di vergogna, l’individuo cerca spesso di nascondersi, in modo concreto o attraverso la comunicazione non verbale.
Quando una persona mi fa provare vergogna, io provo il sentimento di umiliazione: è un vissuto intollerabile. E’ un’onta spesso alla base di comportamenti aggressivi o suicidari.
Limiti “spiritualistici” della fenomenologia da superare, per fondare una scienza del sentimento e della personalità.
La fenomenologia appare una corrente di pensiero idonea allo studio del sentimento umano: ricerca infatti l’originalità dell’esperienza soggettiva immediata, al di là degli schematismi razionali imposti dalle scienze naturali.
Il pensiero di E. Husserl, M. Scheler e N. Hartmann è tuttavia incentrato sul ruolo della trascendenza: essa è concepita come un’entità metafisica che domina l’individuo e lo condiziona.
Il sentimento è quindi considerato come il segnale di una rivelazione (apofania) da parte di un Essere superiore, che può manifestarsi a suo piacimento, relegando l’uomo a passivo recettore di messaggi soprannaturali.
In questo contesto è difficile costituire lo studio del sentimento come un’autentica scienza: per raggiungere questo obiettivo devo superare ogni tentazione di riproporre antichi modelli dogmatici, che rendono l’uomo in balìa di esseri metafisici.
Come posso fondare uno studio sistematico del sentimento umano preservando la sua originalità, senza incorrere in derive spiritualistiche?
L’Io è il sentimento di una attività psichica.
Possiamo proporre un’autentica indagine del sentimento umano solo partendo dalla consapevolezza che l’Io sia un’attività. Non un prodotto passivo di meccanismi biologici. E neppure il risultato passivo della creazione di un Dio distinto da me.
Sono io che posso e voglio dare un significato al mondo.
Il sentimento dell’Io è la consapevolezza che l’unico vero “Essere” conoscibile sono io stesso, e che l’altro è comprensibile per analogia con la mia esperienza.
È la presa di coscienza che “io sono nel mondo in questo momento” (come afferma Heidegger), attraverso le mie azioni. Io stesso sono un’azione, sono energia in continuo divenire.
Il sentimento dell’Io è il punto di partenza della mia esistenza: anzichè “cogito ergo sum” si dovrebbe affermare “sentio ergo sum“.
Derealizzazione e depersonalizzazione.
Quando perdo la consapevolezza di essere energia attiva ed avverto la sensazione passiva di essere in balìa del mondo esterno, avverto il sentimento di derealizzazione: il mondo mi sembra sconosciuto, estraneo, avvolto da un atmosfera minacciosa.
Quando io stesso non riesco a sentirmi padrone dei miei stati d’animo, pensieri e azioni, avverto un penoso sentimento di depersonalizzazione.
Mi sento come un automa, come un ingranaggio di un sistema che ha già determinato il mio destino, privo di ogni libertà.
È un vissuto che può anticipare l’insorgenza di una psicosi. Ancora prima, però, è lo stato d’animo tipico dell’individuo all’interno di una società che riduce l’uomo ad una macchina (che deve produrre beni e ricchezze).
La depersonalizzazione è un sentimento molto comune nel mondo occidentale moderno, come messo in luce già nel secolo XIX da Marx (che, non a caso, alludeva alla “alienazione” del lavoratore) e, nel secolo scorso, sviluppato e rielaborato in chiave psicologica da Freud.
Il disconoscimento dell’Io e la sensazione di non-appartenere all’esistenza sono le principali fonti di psicopatologia dell’essere umano.
Dobbiamo proporre una scienza psicologica che non porti all’alienazione del singolo individuo. Che non lo riduca ad un insieme di comportamenti “stimolo-risposta”, tipici di un topo di laboratorio. Ma ponga al centro dello studio l’uomo stesso, la sua esistenza e la sua libera attività di espressione e di autorealizzazione.
Vedi anche: La depressione: patologia clinica o sentimento universale di insoddisfazione?
Lo “slancio vitale” dell’esistenza umana: la vita è adesso – da Bergson a Minkowski.
Si consiglia la visione di questo video:
https://www.youtube.com/watch?v=3vSjSRNVdfk
Attraverso l’espressione artistica, l’Autore sembra tuttavia riuscire a dare un senso a questo sentimento di angoscia altrimenti intollerabile, liberandosi da esso. E’ un meccanismo psichico che Freud definisce “sublimazione”.
Trovo molto interessanti questi spazi dedicati ai sentimenti, in una scrittura diversa da quella arida dei trattati scientifici, ma molto espressiva e convincente. Grazie!