Marx è stato materialista o umanista? Il suo contributo alla psicologia moderna.

Introduzione

Marx ha posto il lavoro al centro del suo studio filosofico. 

Il lavoro ha un ruolo fondamentale nella vita di ognuno di noi: può essere un concreto strumento di realizzazione delle nostre qualità. Oppure un alienante peso, fonte di fatica e sofferenza, necessario per la nostra sopravvivenza economica.

Per chi non ha un’occupazione, è invece un obiettivo da raggiungere, per rivendicare il diritto di esistere nella società ed aspirare a divenire una persona autonoma.

In ogni caso la sfera lavorativa suscita in noi vivi sentimenti, di integrazione o di alienazione, a seconda se ci sentiamo in sintonia con la nostra attività e con i colleghi, o se avvertiamo il disagio di non essere compresi per le nostre capacità.

La posizione di Fromm: Marx fu un umanista.

Mentre la dottrina economica di Marx è diffusamente nota, è meno conosciuto il pensiero psicologico di questo Autore.

Egli, partendo dalla descrizione degli stati d’animo provati dal lavoratore nella sua condizione di subordinato rispetto al capitalista, ha descritto una significativa dialettica dei sentimenti. Essa va oltre la dimensione strettamente sociologica: i vissuti dell’uomo sono sempre universali e riferibili ad ogni componente della sua esistenza.

Erich Fromm, nel saggio “Il contributo di Marx alla conoscenza dell’uomo“, intende sfatare il pensiero comune secondo cui la filosofa marxista sarebbe essenzialmente materialistica.

Pur essendo passato alla storia come il filosofo del “materialismo storico”, Marx è considerato da Fromm addirittura un “umanista”, per la sua fine analisi psicologica del comportamento individuale e collettivo, all’interno delle dinamiche lavorative.

Si possono ritrovare, in effetti, alcuni concetti utili alla fondazione di una psicologia umanistica in un testo di Marx non universalmente noto.

I “Manoscritti economici e filosofici del 1844”.

In questo testo, Marx pone l’esigenza di libertà come il carattere specifico della specie umana. Siamo agli antipodi della visione meccanicistica dell’uomo come risultato di schemi stimolo-risposta.

Secondo Marx, l’obiettivo finale dell’individuo è raggiungere la propria autorealizzazione, attraverso un continuo slancio verso il superamento dei propri limiti.

Per perseguire questo fine, l’essere umano è guidato da passioni, di cui deve prendere coscienza non attraverso un esercizio intellettuale astratto, ma tramite esperienze concrete.

Qui nasce la critica marxiana alle speculazioni fini a se stesse, comprese la filosofia astratta, la religione, ma anche la scienza naturale. Quest’ultima non consentirebbe all’uomo di prendere coscienza di se stesso, ma solo di fornire mezzi tecnici per manipolare in modo più proficuo la realtà.

Marx indica invece come fattore di maturazione per l’uomo l’azione concreta, che è spinta da passioni fondamentali.

A guidare le azioni umane, fin dalle origini, sono innanzitutto le esigenze di soddisfare la fame e la sete, di riprodursi, di proteggere se stessi e la prole. Su queste basi nasce, quindi, la necessità degli individui di organizzarsi in una società e di stabilire regole condivise con i propri simili.

Che cosa sono le passioni?

Sono impulsi, ma in un’accezione diversa da quella delle teorie psicologiche sperimentali e della psicoanalisi ortodossa, che negano qualunque autonomia all’individuo.

Nella visione metapsicologica di Freud, l’impulso è solo la necessità di scaricare una tensione per un conseguire un rilassamento, fenomeno che si potrebbe tradurre in una formula chimica. Pertanto l’Io avrebbe un ruolo marginale, relegato ad una funzione passiva, in balia delle forze della Natura.

Per Marx, invece, l’impulso non è altro che la mia aspirazione ad integrarmi con l’altro e con il mondo: è l’esigenza di relazione, per pervenire, come egli afferma, alla “unione dell’uomo con la natura”.

La “dialettica degli opposti”.

Le passioni umane, quindi, sono per Marx una spinta verso l’altro, un continuo divenire. L’esistenza è la mia volontà dinamica di superare problemi ed ostacoli che si oppongono a me, attraverso la cooperazione con l’altro: il pensiero marxiano è pervaso dalla cosiddetta “dialettica degli opposti”.

Pertanto Marx, secondo Fromm, può essere considerato come fondatore, pur inconsapevole, della psicologia dinamica dialettica.

In ogni azione dell’uomo, e nel suo stesso corpo, è implicita un’intenzionalità psicologica. In un passo dei suoi manoscritti economico-filosofici, Marx afferma:

Le relazioni umane col mondo: il vedere, l’udire, l’ascoltare, assaporare, sentire, agire, amare ecc, in breve le tutti gli organi della sua individualità sono l’espressione attiva della realtà umana“.

Quindi gli organi dell’essere umano non sono altro che la rappresentazione esterna della mia volontà di interagire con l’altro.

Queste affermazioni sembrano evocare la filosofia di Schopenhauer, che vedeva nell’espressività umana la manifestazione della volontà; mentre quest’ultimo, tuttavia, ritiene l’uomo non libero (tranne il raro individuo “illuminato”), in quanto succube della Volontà come entità metafisica, Marx definisce invece il carattere dell’intera specie umana come “libera e conscia attività“.

I sentimenti negativi di “alienazione”, nel lavoro, come stimolo alla conoscenza di sè ed alla trasformazione della società.

L’uomo è autenticamente se stesso quando ha la proprietà di essere energia attiva.

Si disumanizza, invece, quando assume le sembianze di un oggetto, cioè quando diventa passivo. Questo accadrebbe nelle società in cui l’individuo è usato come mezzo di produzione e quindi viene snaturato, ovvero alienato.

Nasce qui il concetto di alienazione dell’operaio, della persona oppressa, socialmente schiava di un sistema che lo utilizza come l’ingranaggio di un meccanismo. Diventa strumento di finalità estranee, cioè del profitto del capitalista.

Quindi Marx afferma che, nel lavoro alienato, l’uomo diventa bestia quando dovrebbe sentirsi uomo: l’operaio infatti non godrà mai del prodotto dei suoi sforzi. E diventa uomo quando invece dovrebbe sentirsi bestia: l’operaio, spersonalizzato dalla monotona routine quotidiana, che cosa fa alla fine della giornata? Si stordisce nell’ubriacarsi, nel mangiare, nel fare sesso. Diviene preda di passioni alienate, cioè disumane: non sono più le attività finalizzate a stabilire relazioni autentiche con l’altro e con il mondo esterno.

Le passioni alienate sono uno scarico pulsionale. Sono prodotti di degradazione di un individuo che, tramite un velleitario soddisfacimento dei sensi, ottiene un estemporaneo oblio dalla sua condizione esistenziale abnorme.

La psicologia umanistica dialettica. 

La psicologia umanistica riconosce un’autonomia di studio ai sentimenti soggettivi, nella loro dialettica intrinseca, senza una subordinazione diretta della sfera affettiva a quella dei processi fisico-chimici dell’organismo. Questa riduzione implicherebbe un subdolo processo di “alienazione” del soggetto dai propri sentimenti.

Questo è un elemento distintivo della filosofia di Marx nell’interpretazione di Erich Fromm, che dichiara: ”Il problema di come attuare la distinzione tra bisogni umani e disumani è, in realtà, il problema psicologico fondamentale, che la psicologia e psicoanalisi non avrebbero potuto neppure cominciare ad indagare (…); e come avrebbero potuto farlo, dal momento che il loro modello è l’uomo alienato? (…) Solo una psicologia dialettica e rivoluzionaria, che vede l’uomo e la sua potenzialità al di là del suo aspetto mutilato, può arrivare a questa importante distinzione tra due generi di bisogni“.

Ovvero: per la psicoanalisi ortodossa l’uomo non è altro che una cosa, un automa, passivo contenitore di tensioni da scaricare.

Differenze dalla psicoanalisi freudiana.

Osserva ancora Fromm: “Se Marx avesse conosciuto la teoria di Freud, l’avrebbe criticata come una teoria tipicamente borghese di uso e sfruttamento“.

In una prospettiva umanistica, invece, l’uomo è una persona, che può degradarsi a cosa solo quando si verifica uno snaturamento del suo essere (a causa di una patologia somatica o di un grave disadattamento sociale).

Nella filosofia marxiana vi è sia l’esigenza di descrivere l’uomo come attività, sia la tendenza ad interpretare acutamente i sentimenti individuali e collettivi, riconosciuti come i fattori più significativi che determinano il comportamento umano.

Marx sembra riconoscere implicitamente la differenza di significato tra essere umano (inteso come Io, soggetto dotato di sentimenti che costituiscono la sua personalità) ed organismo biologico (inteso come insieme di stimoli e risposte, in assenza di alcuna autonomia dell’Io). Tale distinzione non esiste invece nella psicoanalisi freudiana.

Sarebbe quindi Freud un vero materialista assoluto.

Il fondatore della psicoanalisi, sul piano della pratica clinica, ha sempre riconosciuto massima importanza alla relazione terapeuta-paziente, anche come fattore curativo. Sul piano teorico, tuttavia, nella sua metapsicologia ha ridotto i sentimenti a puri epifenomeni di processi chimico-fisici: come se gli affetti non fossero altro che “differenze di potenziale” di impulsi elettrici.

La dialettica dei sentimenti all’interno delle relazioni lavorative.

Secondo Marx, il sentimento fondante l’essere umano è quello dell’amore, che coincide con la vitalità concreta, come volontà di affermazione attraverso la relazione con l’altro, la conquista di maggiori spazi di libertà nella vita personale e nel lavoro.

L’antitesi dell’amore non è che l’avidità, sentimento egoistico che rende impossibile stabilire una relazione paritaria con l’altro. L’uomo avido ha invece l’esigenza di sovrastare l’altro attraverso l’accumulo delle ricchezze, che provoca un crescente divario tra l’oppressore (in questo caso il capitalista), e l’oppresso (l’operaio, il lavoratore dipendente), succube di questa ingiustizia sociale.

Che sentimenti prova l’oppresso?

Inizialmente, in modo poco strutturato, percepisce che “qualcosa che non va”: egli è relegato al ruolo di sfruttato e, man mano che ne prende coscienza, prova sentimenti di vergogna, di manchevolezza, di umiliazione. Questi stati d’animo possono facilmente trasformarsi in rabbia e sdegno.

La consapevolezza della vergogna

Marx afferma: “La vergogna è un sentimento d’ira rivolta verso se stesso e se un’intera nazione provasse veramente vergogna sarebbe come un leone che si accovaccia prima di spiccare il volo”.

Quindi, quando il lavoratore acquista consapevolezza del suo stato di subordinazione ingiusta, la sua vergogna può trasformarsi in ira ben veicolata. Ovvero rabbia come volontà del soggetto di riaffermare se stesso, di riscoprire il proprio valore personale e l’autostima, intenzione che sfocerebbe, secondo Marx, nella lotta di classe e nella rivoluzione.

Essere di estrazione sociale umile non è squalificante. Può essere anzi l’occasione di un risveglio emotivo, che dialetticamente porta me stesso ad un cambio di atteggiamento ed alla ricerca dell’altro per cooperare e rivoluzionare la mia condizione:

La povertà è un legame passivo – afferma Marx – che conduce l’uomo a sperimentare il bisogno di una ricchezza più grande, l’altra persona“.

Paradossalmente, proprio sperimentando la condizione di indigenza ed il sentimento annichilente di alienazione, l’individuo può quindi destarsi.

Può trasformare ciò che era avvertito in modo nebuloso ed indistinto, fino a possedere una coscienza del suo ruolo sociale in questo preciso momento storico.

La “Dialettica della natura” ed i suoi problemi interpretativi.

Riconosciamo a Marx una visione storica e dialettica dell’essere umano. Dobbiamo, tuttavia, evidenziare che la sua analisi psicologica dei sentimenti è subordinata ad una visione filosofica complessiva che pone al centro non l’uomo stesso, ma la materia.

Questa tendenza è ancora più esplicita nel sistema filosofico che propone F. Engels. Nella sua “Dialettica della natura” (1925) gli elementi che dovrebbero caratterizzare l’interiorità umana diventano ora costitutivi di una dialettica presente di per sè nel mondo esteriore.

Engels descrive una materia dotata di energia intenzionale nell’aggregarsi, secondo un’intelligenza immanente.

Si allude alla relazione di attrazione tra polarità opposte (come nel magnetismo), tra il sesso femminile ed il sesso maschile, ecc.

Engels utilizza anche diverse metafore, come quella per cui il seme si negherebbe attraverso la pianta e la pianta sarebbe la negazione della negazione che fa nascere il seme.

Si cerca quindi una sintesi tra la posizione della dialettica di Hegel e quella della scienza naturale.

Notiamo, in particolare, l’esigenza di superare il rigido meccanicismo deterministico di Laplace, da cui è nato il naturalismo classico moderno.

Tra naturalismo e misticismo

Si intuisce la volontà di aprirsi ad un orizzonte mistico, che porti l’uomo ad una relazione diretta con la Natura, senza mediazioni intellettualistiche.

A questo proposito Engels afferma:

“Noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato”.

Da dove derivano però queste “leggi”? Dall’uomo stesso, dalla sua percezione e dalla sua attiva rappresentazione.

Se mi risveglio e prendo coscienza che è l’uomo ad avere ordinato e rappresentato la Natura attraverso le scienze, allora posso davvero provare un sentimento di appartenenza al mondo che mi circonda.

L’appartenenza alla vita sociale ed alla natura universale è l’unico vero antidoto al sentimento di alienazione. Se quest’ultimo prevale, invece, l’essere umano viene ridotto ad una cosa tra le cose materiali, spogliato della spontaneità e della sua originalità.

Che cos’è la Natura?

Riteniamo che la Natura non sia altro che una rappresentazione dell’uomo (seguendo gli insegnamenti di A. Schopenhauer).

Si può quindi vedere nella Natura ciò che si predilige: la si può considerare come un impersonale insieme di formule matematiche astratte (naturalismo). Oppure come un ente concreto e vivente cui io sono intimamente interconnesso, con il quale mi relaziono secondo la mia personalità.

Nella Natura posso allora riconoscere parti di me, corrispondenti alle mie esigenze di integrazione e di universalità, fino a voler abbracciare la totalità e diventare io stesso la Natura (misticismo).

In quest’ultima visione posso anche attribuire al mondo una dialettica dei sentimenti, che però nasce dalla mia interiorità, non dall’esteriorità naturale.

Tornando a Marx ed Engels, essi hanno cercato di riformulare in termini concreti la filosofia di Hegel. Hanno proposto un’incessante dialettica di vissuti contrastanti, attraverso cui matura la personalità individuale.

La dialettica non è però compatibile con il meccanicismo assoluto della scienza naturale tradizionale: problemi, contraddizioni e scelte non esistono in una Natura esterna e indipendente dall’uomo. Nascono, invece, dall’indissolubile relazione tra soggetto ed oggetto, senza una necessaria riduzione dell’individuo all’esteriorità naturale.

La “dialettica della natura” ha senso partendo da un soggetto (me stesso) che aspiri ad una integrazione, ad una sintesi con la realtà oggettuale; fino a trovare nella Natura parti di sè ed a fondersi nell’armonia universale.

Conclusioni

Al di là di ogni implicazione politica ed ideologica, Marx ha riconosciuto l’importanza del lavoro come modalità espressiva dell’uomo e come sorgente di sentimenti autentici e concreti.

Egli, nel suo sistema filosofico, sembra tuttavia polarizzare l’attenzione sulla materia e sugli squilibri sociologici che essa crea. Solo secondariamente sulla personalità.

Il lavoro, per il soggetto, è invece molto più di un prodotto di fattori economici e materiali. E’ innanzitutto un’esigenza di affermazione delle sue personali inclinazioni, alla ricerca di un significato da conferire alla sua esperienza di vita. Questo verrà ribadito in modo più sistematico da Viktor Frankl.

In epoca moderna, sia il marxismo che il liberismo hanno subordinato l’uomo alla materia ed alle logiche economiche. Questa è una delle basi della crisi di valori che ha accomunato società organizzate secondo ideologie apparentemente opposte.

Una visione del mondo realmente umanistica e dialettica deve invece ribaltare i termini proposti. L’uomo va posto al centro di ogni questione psicologica, economica e politica. Questa è la base per aspirare a giungere ad un nuovo Rinascimento della società civile.

 

Riferimenti bibliografici:

Fromm E, Il contributo di Marx alla conoscenza dell’uomo, 1968. In: Fromm E, La crisi della psicoanalisi, 1970.

Giacomini GG, La crisi della psicoanalisi e dei suoi fondamenti epistemologici – Psicoanalisi, metodo dialettico e Tavola Epistemologica Universale. Alpes, 2016.

Marx K, Manoscritti economico-filosofici del 1844. Einaudi, 1968.

I sentimenti umani nella loro psicologia e dialettica.
https://gabrielegiacomini.com/2020/03/04/avere-o-essere-erich-fromm-ed-il-dilemma-della-societa-contemporanea/

Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=O5rYCYZDQgk

Marx

3 pensieri riguardo “Marx è stato materialista o umanista? Il suo contributo alla psicologia moderna.

  1. Condivido le sue conclusioni con forza. “Dovrebbe”, però è una implicita ammissione di impotenza… Credo che sia necessario un cambio di prospettiva e forse l’abbandono di quella incomprensibile paura che aleggia attorno al pensiero marxiano e post-marxiano, come in quello freudiano e post-freudiano (in psicologia si veda quello di W. Reich), di “cadere nel misticismo”… Il discorso è lungo, ma il misticismo non è il luogo più duro in cui cadere. IL buio dell’alienazione, della psicosi sociale, dell’animalità trionfante, lo è molto di più. E una sana scienza spirituale, pragmatica e quindi sperimentale e sperimentabile, è del tutto in linea con gli auspici del Marx che lei cita. Grazie

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