Carl Rogers (1902-1987) è noto per la sua intenzione di rivoluzionare il concetto di psicoterapia, proponendo un’impostazione non direttiva e centrata sul cliente. Prenderemo in considerazione, in particolare, due testi fondamentali: “Psicoterapia di consultazione” (1971) e “Libertà nell’apprendimento” (1974), in cui è possibile apprezzare il profondo nesso tra psicoterapia e studio della personalità.
La psicologia di Rogers è di carattere personologico ed umanistico: attraverso le influenze della fenomenologia, l’autore pone al centro della ricerca un Io inteso non come automa, prodotto di pulsioni istintuali e relativi meccanismi di difesa; ci si riferisce invece ad un Io “in prima persona”, presupposto della vita psichica, che si pone in relazione attiva con il suo stesso organismo biologico e con le influenze ambientali.
Rogers prende quindi le distanze dal comportamentismo e dalla psicoanalisi ortodossa, che, secondo modalità diverse, tendono a ridurre l’esperienza umana al risultato di condizionamenti esterni o dell’azione di energie istintuali predeterminate.
Insieme ad altri autori appartenenti all’area della psicologia umanistica, quali Gordon Allport, Viktor Frankl ed Erich Fromm, Rogers propone una riformulazione della psicoanalisi freudiana nella teoria e nella pratica clinica.
Punti comuni della psicologia umanistica sono:
1) Il riconoscimento dell’originalità intrinseca del singolo individuo, al di là di ogni riduzione a sistemi conoscitivi precostituiti (comprese le scienze naturali).
2) L’importanza del ruolo del sentimento, e non solo dell’intelletto, nello sviluppo della personalità.
Presso il Dipartimento di Psicologia infantile dell’Università di New York, Rogers iniziò le sue sperimentazioni attraverso colloqui con bambini, familiari, insegnanti, tradizionalmente intervistati attraverso protocolli di interviste e domande standard.
Anzichè porre, come di consueto, una sequenza di domande precostituite, egli predilesse l’ascolto, punto fermo del suo Counseling, convinto che ogni persona, lasciata liberamente parlare, inevitabilmente toccherà quei punti, quei nodi fondamentali che hanno segnato la formazione della sua personalità.
È l’individuo stesso ad orientare il suo interlocutore.
Rogers cominciò quindi ad insistere sulla distinzione del suo Counseling da altre forme di assistenza tradizionale; nel campo educativo ancora vigevano interventi basati sulle minacce e sull’imposizione: sono metodi tradizionali che possono fornire nell’immediato alcuni risultati, ma che agiscono solo sugli strati superficiali della personalità, col rischio di creare pericolose scissioni con le aree intime del carattere dell’individuo.
Il paziente tradizionale diventa ora semplice cliente: è un termine distintivo non casuale, che vuole mettere l’accento sulla parità tra soggetti.
Questo atteggiamento risulta in polemica col concetto tradizionale di transfert: in Freud esso veniva rappresentato come un trasferimento meccanico sul terapeuta di elementi provenienti dalla storia del paziente. Rogers non vuole sottovalutare la storia personale del cliente, ma intende soffermarsi sul qui ed ora: di fronte al terapeuta, il cliente può avere l’occasione unica ed insperata di vivere una relazione nuova, diversa da tutte le precedenti. Egli infatti si troverà di fronte a qualcuno che non vuole condizionarlo attraverso interpretazioni o commenti, ma ascoltarlo.
Sostiene Rogers:
“È sorprendente il modo in cui i problemi che sembravano insolubili, diventino risolvibili quando qualcuno ti ascolta”.
“È nel momento stesso in cui mi accetto come sono che comincio a cambiare“.
Il consulente è una figura del tutto inedita nell’esperienza biografica del cliente: non è un rapporto del tipo genitore-figlio, in cui il genitore è troppo condizionato da profondi coinvolgimenti personali, responsabilità, obbligazioni; ma non é neanche un rapporto tra docente e allievo: gli elementi cognitivi sono messi in secondo piano rispetto ai sentimenti di risonanza emotiva, di empatia, di sintonia con l’interlocutore.
Il consulente deve essere una persona autentica (nel senso esistenziale del termine proposto da Heidegger), presente nella relazione con tutta la sua umanità, mai nascondendosi dietro ad un ruolo precostituito. Si contesta la figura rigida e fredda dell’analista-specchio, che non risponde alle domande ricevute oppure interpreta le affermazioni del soggetto, immettendo in lui contenuti non originariamente presenti nella sua esperienza.
Rogers afferma, a proposito del consulente:
“Egli deve essere presente con tutta la sua personalità, anche se l’attenzione centrale e predominante deve restare sempre sul cliente, che deve esser aiutato a verbalizzare ciò che sente”.
Autenticità, spontaneità e trasparenza sono le doti richieste al consulente rogersiano.
In particolare, il consulente dovrà evitare ogni atteggiamento, verbale e non verbale, che possa esercitare una forma di condizionamento sul suo cliente.
Il terapeuta deve essere anche molto attento ai tempi: in ogni caso va sempre rispettato il tempo del cliente.
L’autore cita il caso di una madre che arriva in seduta in uno stato di profonda alterazione, esasperata a causa del comportamento del figlio, che avrebbe disatteso tutte le sue aspettative: una terapia di appoggio o comportamentale interverrebbe per cercare di placare questi sentimenti aggressivi, mentre Rogers ritiene che il consulente debba limitarsi ad ascoltare e prendere atto dello stato emotivo della madre, non contraddicendola in alcun modo. Durante la seduta successiva, la stessa madre ha in gran parte cambiato il suo atteggiamento, in alcuni aspetti in modo evidente, in altri in modo più graduale e quasi impercettibile, già a partire dal tono di voce e dal linguaggio del corpo; ella comincia a fare dei “distinguo”, a presentare delle riserve ai propri giudizi drastici precedenti, dicendo che sì, vi sono dei problemi, ma è pur sempre un ragazzo con dei valori.
Anche in questo caso bisogna evitare di “raddrizzare” la situazione, cercando di risanare quel conflitto immediatamente. È opportuno attendere che la persona prosegua nel suo dialogo interno, passando da un polo all’altro del sentimento per trovare autonomamente il suo equilibrio.
Così, nel caso di una persona depressa che manifesti sentimenti di autosvalutazione, che si senta votata al fallimento, convinta dell’inutilità dello stesso trattamento, il consulente dovrà aspettare l’esaurimento di questi stati emotivi; la fase di crisi viene accettata, in attesa che il cliente sviluppi naturalmente una ripresa, una nuova apertura verso il mondo.
Il consulente deve fare attenzione non solo a che cosa il cliente dice, ma ancor più a quello che egli non dice (o ancora non ha detto). Il consulente può intuire che il cliente non voglia affermare intenzionalmente qualcosa, ma spesso sarà meglio non farlo presente in modo esplicito, rispettando le progressive fasi di consapevolezza dell’assistito.
Secondo l’Autore, infatti, non sono i problemi che devono essere presi in considerazione, ma l’individuo e come egli si ponga di fronte ad essi: vedere come li ha elaborati, quali significati ha dato agli eventi che lo hanno segnato e con cui, dentro di sè, è interiormente ancora in rapporto.
La storia di ogni soggetto non è il risultato di una serie di vicende casuali, ma del come egli le ha elaborate e di quali significati personali ha conferito loro, perché con queste intime conclusioni egli è sempre interiormente in contatto.
Si insiste molto sulla capacità di risonanza affettiva, che presuppone una piena accettazione del cliente da parte del consulente: si tratta di una responsabilità emotiva che il counselor deve assumersi al fine di aiutare la persona stessa ad ascoltarsi.
Lo spirito del Counseling rogersiano si può applicare anche al campo della psicopedagogia, attraverso una vera “rivoluzione culturale”, passando dal predominante insegnamento scolastico nozionistico ad una nuova filosofia educativa.
Fondamentale nel processo di apprendimento è la personalità dell’educatore (come in psicoterapia lo è quella del counselor). Egli, ancor prima di insegnare qualcosa, deve consentire al suo allievo di “sperimentare una relazione nuova con qualcuno che lo affiancherà costantemente in questa nuova esperienza, senza mai giudicarlo“.
Non è tanto importante che il docente sia un grande erudito o che abbia una gran massa di nozioni da trasferire, con cui “travolgere e sconvolgere l’allievo”, senza riuscire a modificare nulla dentro di lui. In molti casi, paradossalmente, questa prepotente immissione di dati nella mente dell’alunno potrebbe essere addirittura dannosa, rischiando di bloccare i percorsi originali nell’interiorità di quel soggetto.
Rogers afferma: “Io non voglio essere erudito, illuminato, travolto dalle conoscenze. Troppe persone sono state erudite, illuminate, <<educate>> con gravi danni per la loro personalità!”.
Scopo del docente è invece aiutare l’allievo ad arrivare autonomamente alle conclusioni: partendo dai problemi, liberare la sua curiosità e farlo sentire partecipe del collettivo processo culturale dell’umanità, cui lui stesso potrà dare il personale contributo.
Rogers nota:
“Non si deve imparare per la vita futura, ma la vita è adesso, la scuola stessa è vita! Tutte le esperienze non sono mai solo cognitive, ma anche emotive. Le emozioni sono fondamentali nella formazione della personalità”.
Si deve quindi sottolineare una nuova impostazione attribuita alla personalità, non più presentata come la risultante di fattori naturalistici (cause biologiche, fisiologiche, neurologiche, ecc.), ma come un presupposto interiore collegato alla coscienza di sè, alla riflessione, al sentimento di autosuperarsi (si notano le influenze fenomenologico-esistenziali di K. Jaspers e di M. Heidegger).
Sono questi i pilastri su cui fondare una vera riforma della psicologia, della psicoterapia e della teoria della personalità.
Si sostiene come l’individuo non sia un semplice aggregato di pulsioni, riflessi condizionati, abitudini passivamente acquisite, ma un’unità costitutiva (coscienza dell’unità dell’io secondo Jaspers).
Tutti i fattori esterni ed i condizionamenti ambientali non sono trascurabili, ma devono essere considerati semplicemente come dei limiti, degli elementi negativi che la personalità deve in ogni momento superare per la sua realizzazione.
La personalità umana si identifica proprio in quest’originaria intenzione ad andare oltre, a trascendere se stessa (nel significato originario dei termini proposti da Brentano, Husserl, Jaspers, Heidegger), a superare ogni condizionamento esterno e soprattutto interno.
L’individuo, che non è un semplice membro della sua specie biologica, deve essere aiutato a liberarsi da tutto ciò che frena l’espressione della sua personalità, attraverso un’assunzione consapevole di impegno, volontà, responsabilità.
Dichiara Rogers:
“L’impegno é qualcosa che si scopre dentro di sè, è una fiducia nella propria personalità totale e non solo nelle facoltà dell’intelletto“.
Si assegna un primato alla volontà (intesa come il sentimento di andare oltre, di trascendere) rispetto all’intelletto.
La personalità si forma attraverso l’acquisizione consapevole del sentimento di sè: esso è definibile come il desiderio di pervenire ad un’ideale autorealizzazione, che guida costantemente l’individuo al conseguimento delle proprie mete e dei propri fini.
L’uomo, quando assume l’atteggiamento fenomenologico di consapevolezza di sè e di sospensione del giudizio, può andare al di là delle leggi meccaniche “causa-effetto” che condizionano il suo organismo biologico; diviene invece una persona capace di liberare e di ri-creare se stessa in ogni istante, nel qui ed ora.
La psicoterapia e la psicopedagogia devono consentire all’uomo di aspirare al superamento di ogni limite contingente.
Scrive ancora Rogers:
“L’uomo è una figura che, benché sola in un universo massimamente complesso e benché parte minima di quell’universo e di quel destino, può nella sua vita interiore trascendere l’universo materiale ed essere in grado di vivere la propria vita.”
“Sono dimensioni non comprensibili in uno schema di pensiero solo descrittivo, basato sul condizionamento o sull’inconscio.”
“L’uomo si è sentito per molto tempo una marionetta, dominato da forze economiche, inconsce, ambientali…“
É come se l’Autore si dicesse pronto ad una nuova “Dichiarazione di Indipendenza”: il soggetto, pur restando radicato in un mondo condizionante ed alienante, non vuole essere una marionetta mossa da fili incontrollabili, ma intende realizzare il proprio Sè individuale ed ideale, ovvero divenire un essere autentico. L’uomo quindi non è libero dai condizionamenti del mondo, ma vuole liberarsi.
Alcune psicoterapie rigorosamente comportamentali concepiscono invece l’essere umano come un puro assemblaggio di riflessi condizionati, i quali rispondono passivamente a stimoli energetici, al fine di un’omeostasi della realtà naturale. Omeostasi che soddisfa la natura, ma non la persona.
Scrive Rogers a proposito delle scienze naturali applicate all’uomo:
“Certi modelli di valore sono spesso in contrasto con i dati concreti delle nostre esperienze e finiranno per entrare in contrapposizione con noi stessi.”
“Queste discrepanze tra i dati acquisiti dall’individuo e la sua esperienza effettiva è una delle cause dell’alienazione dell’uomo moderno da se stesso.”
Questi sono passi importanti per cogliere lo spirito della psicologia personologica.
Si mette in evidenza come, per comprendere veramente ogni esperienza interiore, occorra sempre fare riferimento all’Io.
L’Io non è una semplice registrazione passiva di fenomeni esterni, ma é uno slancio attivo, una tensione che si apre verso la nostra infinita autorealizzazione.
Riguardando Rogers attraverso le tue parole di presentazione, una volta di piu penso che per la scienza psicoanalitica tutto abbia un valore ”nutritivo”.