A.T. Beck e la psicoterapia cognitiva della depressione: contributi ed analisi critica.

“Il modo in cui l’individuo struttura le esperienze determina il suo umore”.

Aaron T. Beck è uno psichiatra contemporaneo, fondatore della rivista “Cognitive Therapy and Research”. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti per i suoi contributi nello studio della depressione e dei comportamenti suicidari.

La sua psicoterapia cognitiva della depressione parte dal seguente presupposto: il giudizio che la persona attribuisce alla realtà influenza significativamente i suoi sentimenti e quindi il suo comportamento.

Se una persona giudica che i suoi problemi non sono risolvibili, svilupperà depressione; se ritiene una situazione pericolosa, svilupperà ansia anche solo immaginando l’evento.

Nel testo “Depression: Causes and Treatment” (1967), l’Autore scrive:

Lo stato affettivo può essere considerato una conseguenza del modo in cui l’individuo vede se stesso o l’ambiente. Ho messo in evidenza che esiste una relazione prevedibile tra un evento antecedente e la riposta affettiva.

Se il paziente veniva respinto, provava un affetto negativo. Analogamente, se semplicemente pensava di essere respinto, provava lo stesso effetto negativo.

Ho concluso che è il modo in cui l’individuo struttura le sue esperienze che determina il suo umore. Poiché la persona depressa compie costantemente concettualizzazioni negative, è incline ad avere costantemente un umore negativo”.

La risposta affettiva è determinata dal modo in cui un individuo struttura la sua esperienza”.

Ogni soggetto costruisce la propria realtà, attraverso un insieme di convinzioni di base, che col tempo assumono le caratteristiche di schemi di pensiero costanti.

Obiettivo della terapia cognitiva è invitare il paziente a mettere in dubbio gli schemi di pensiero disfunzionali, perché logicamente erronei o troppo negativi verso di sé o gli altri (distorsioni cognitive). L’obiettivo è una ristrutturazione della realtà.

    La triade di Beck

La depressione si associa alla classica triade di Beck: la visione negativa di se stessi, del mondo e del futuro.

Questa condizione dipenderebbe da errori logici di ragionamento, che si ripropongono quotidianamente nel pensiero del paziente e che spesso sfuggono alla sua stessa consapevolezza.

Il terapeuta, attraverso il dialogo, dovrebbe quindi invitare il paziente a criticare alcuni tipici pensieri rigidi e pervasivi, plausibili ma non per questo reali, che tendono a seguire schemi prevedibili, riconducibili a “distorsioni cognitive”.

Queste sono, secondo Beck, le caratteristiche del pensiero depressivo: è negativo, automatico, involontario, intrusivo, ripetitivo (tipiche sono le rimuginazioni). Sarebbe inoltre subliminale, manifestandosi ad un livello di consapevolezza paragonabile al preconscio della psicoanalisi: non è un pensiero consapevole in condizioni normali, ma può essere valutato e sottoposto a critica dal paziente se sollecitato dal terapeuta.

Poiché tuttavia il pensiero depressivo è automatico e ripetitivo, tende col tempo ad essere pervasivo nell’esperienza del paziente, facendogli credere che i contenuti negativi siano inevitabilmente corrispondenti alla realtà.

Scopo della terapia cognitiva dovrebbe essere quello di creare un “risveglio” del paziente dai pensieri automatici, ricorrenti, spesso logicamente erronei, invitandolo a sviluppare un atteggiamento critico su alcune convinzioni date per scontate: dobbiamo confutare le distorsioni cognitive.

   Le distorsioni cognitive

Sono convinzioni rigide, automatiche, stereotipate, inconsapevoli e quindi non sottoposte a critica. Alla base di esse vi è un pensiero deduttivo (passivo e condizionato da premesse spesso arbitrarie e irragionevoli) che prevale su quello induttivo (che invece è attivo e può portare ad una nuova conoscenza di me stesso e dell’altro).

Ecco le principali distorsioni cognitive (Beck et al., 1979):

Pensiero dicotomico

E’ la tendenza a pensare in termini assoluti: gli eventi possono essere solo “bianchi” o “neri”. Si giudica se stessi o gli altri come buoni o cattivi, senza considerare le vie di mezzo. Può associarsi a perfezionismo e ad un atteggiamento svalutativo verso di sé o altri al primo evento sfavorevole: «Se non svolgo il mio lavoro alla perfezione, allora mi considererò un fallito».

Astrazione selettiva

È un filtro negativo subdolo, che pervade la nostra esperienza quotidiana.

Si giunge quindi ad una conclusione (spesso negativa sul valore di sé o degli altri) sulla base di pochi dettagli, a volte poco rilevanti e contraddittori. Es. un insegnante svolge una lezione, che sembra soddisfare la maggior parte dei partecipanti. Tuttavia egli vede una persona che sbadiglia ed un’altra che gioca col cellulare. Il docente, a quel punto, è pervaso da dubbi e rimuginazioni sul proprio valore, convincendosi che anche la maggior parte degli altri partecipanti in realtà si stia annoiando, pur senza manifestarlo. Giunge alla conclusione di essere un insegnante mediocre.

Ipergeneralizzazione

Rendere assolute e sempre acriticamente valide alcune convinzioni condizionate da stereotipi sociali (es. “gli extracomunitari sono tutti inaffidabili”) o su esperienze personali (“Sono stato lasciato da una donna: è meglio non avere mai più relazioni sentimentali perché soffrirò sicuramente di nuovo”). Il pensiero automatico di base è: «E’ accaduto una volta: allora accadrà sempre».

Personalizzazione

Può essere paragonata ad un’idea di autoriferimento attenuata. E’ una interpretazione autoreferenziale di eventi interpersonali che potrebbero essere neutri per il soggetto: “Ho visto due persone ridevano mentre passavo per la strada… infatti sono una persona impacciata e goffa” (il soggetto non ritiene che potessero ridere per un altro motivo).

Pensiero catastrofico

Ingigantimento ed amplificazione di un problema, che sembra insormontabile. “Non ce la farò mai, perché non sono all’altezza” (riferito allo studio, al lavoro, ad una relazione sentimentale, ecc). “Dopo che avrò confermato di essere un disastro, tutti mi derideranno fino a farmi sentire una nullità”.

Ragionamento emotivo

Supposizione che le mie emozioni riflettano la realtà delle cose. Es. «L’idea di volare mi fa paura: allora sicuramente c’è un alto rischio che il mio aereo precipiti». In effetti, possiamo affermare che la percezione di paura “crea” una nuova realtà, in cui volare equivale a morire. Nasce però un mondo distorto, che deve essere ristrutturato.

Inferenza arbitraria

Do per scontato che una mia supposizione sia un fatto certo, quindi mi aspetto una conseguenza inevitabile (per lo più negativa). Es. «Ho studiato male, quindi l’esame sarà sicuramente un disastro». Oppure: «Quella persona fa finta di non vedermi perché mi giudica spregevole» (magari invece quella persona non mi ha visto). Se è erronea la premessa, saranno fuori luogo le deduzioni.

Etichettare

Utilizzare appellativi stereotipati per definire se stessi o altri. Es. «Sono un inacapace» anziché affermare: «E’ vero che ho sbagliato, ma nella maggior parte dei casi agisco correttamente».

Intolleranza dell’incertezza

Parto dal presupposto che ogni mia azione debba portare a risultati definiti e prevedibili, e non tollero l’esistenza di infinite variabili, indipendenti da me, che condizionano la vita quotidiana. Può associarsi a perfezionsimo e ad un atteggiamento di ipercontrollo sulle altre persone.

E se succedesse questo?” è la domanda che tormenta il soggetto e lo costringe a continue rimuginazioni.

Riconoscere l’intrusività dei pensieri negativi è già un modo di curare la depressione

Afferma Beck:

«All’inizio della terapia il paziente è di solito consapevole solo della seguente sequenza: evento o stimolo -> affetto.

Bisogna addestrarlo a inserire il collegamento tra stimolo e affetto: stimolo -> cognizione -> affetto».

Ovvero il paziente andrebbe addestrato a riconoscere i pensieri intrusivi e automatici (con le caratteristiche delle distorsioni cognitive) non appena si presentano alla coscienza.

Man mano che il paziente diventa più esperto nel riconoscere il contenuto preciso dei suoi pensieri automatici, ne viene influenzato sempre meno. Egli riesce a vederli come a distanza e può valutarne la validità. Riconoscimento e distacco sono i passi iniziali per neutralizzare i pensieri automatici“.

Il riconoscimento dell’involontarietà delle cognizioni contribuisce a chiarire che esse non sono il risultato di una decisione meditata o di un ragionamento. Il paziente riesce a considerarle come una specie di ossessione che si intromette nel suo pensiero più razionale, alla quale però non deve attribuire alcun particolare valore di verità“.

Il terapeuta ha il ruolo di mettere in discussione le credenze acritiche del paziente. Dovrebbe aiutarlo a comprendere le ragioni per cui un’idea era erronea, spiegandogli i meccanismi con cui si formano le distorsioni cognitive e sollecitando spiegazioni alternative.

Analisi critica della psicoterapia cognitiva di Beck

Il cognitivismo propone un primato, nell’essere umano, della componente intellettuale su quella emotiva.

In questo senso sarebbe sufficiente chiarire le contraddizioni del pensiero razionale per arrivare ad un miglioramento dei disagi emotivi, risultanti da una distorsione di meccanismi intellettuali.

Una tesi simile è sufficiente per affrontare i tipici problemi della psicoterapia, che comprendono i disagi esistenziali e le problematiche della personalità?

Possiamo innanzitutto apprezzare l’importanza riconosciuta al fenomeno della riflessione: primo passo per l’efficacia di una psicoterapia è lo sviluppo un atteggiamento riflessivo.

Qual è la differenza tra pensiero e riflessione?

Il pensiero è un prodotto passivo del funzionamento della nostra mente. È la conseguenza di elaborazioni di stimoli provenienti dal mondo esterno e dal nostro corpo.

Si stima che la nostra mente produca spontaneamente circa 60 mila pensieri al giorno, ovviamente al di fuori della nostra consapevolezza.

Nella depressione, Beck ha individuato caratteristiche peculiari dei pensieri, che assumono caratteristiche “parassitarie”: diventano automatici, stereotipati, intrusivi e focalizzati sulla visione negativa di me stesso, del mondo e del futuro.

Questi pensieri si comportano come agenti patogeni che tormentano il paziente e compromettono la qualità della sua vita.

La riflessione è invece la capacità attiva, caratteristica dell’essere umano, di valutare criticamente i pensieri automatici, fino ad arrivare ad un giudizio consapevole sui propri pensieri e sulla realtà.

K. Jaspers definisce con il termine di “coscienza dell’attività dell’Io” questo fenomeno riflessivo, peculiarità che distingue l’uomo da ogni altro essere.

Mentre i “pregiudizi” sono i prodotti dei condizionamenti familiari e sociali con cui conviviamo quotidianamente, i “giudizi” sono personali, autonomi e frutto di una riflessione al di sopra delle influenze ambientali. Presuppongono un Io che si elevi al di sopra del livello delle cose, per poterle valutare obiettivamente.

Ha senso distinguere il pensiero dal sentimento?

Il processo attivo di riflessione non è unicamente cognitivo e razionale, ma comprende indissolubilmente la dimensione del sentimento. Possiamo definire il sentimento come la componente soggettiva che si accompagna alla conoscenza della realtà.

Mentre in astratto (come nella teoria di Beck) possiamo distinguere il pensiero dal sentimento, nella vita psichica concreta dell’individuo questa distinzione è impossibile.

Pensiero e sentimento sono un tutt’uno. Per animare l’individuo, la ragione deve essere alimentata dal sentimento.

Le distorsioni cognitive descritte da Beck contribuiscono senza dubbio ad indurre stati depressivi. La loro confutazione sarebbe totalmente risolutiva se l’uomo fosse un automa, se si potesse riprogrammare il suo pensiero come il software di un computer.

In realtà l’essere umano non è costituito solo dalla sua componente razionale, ma è permeato dai sentimenti, che hanno uno sviluppo storico e peculiare in ogni singolo individuo.

I limiti di un’analisi intellettualistica della depressione

Se adottiamo un punto di vista focalizzato solo su fattori intellettuali, al di fuori dal contesto della storia individuale, non possiamo comprendere la discrepanza tra ciò che è accaduto al paziente ed il valore che egli dà a questi fatti.

Il depresso effettivamente è portato a pensare ad una svalutazione di sè, a catastrofi che avverranno nel prossimo futuro, alla denigrazione che subirebbe da parte degli altri, ad un deprezzamento di tutto ciò che ha realizzato.

Possiamo anche provare a confutare ed a correggere queste sue convinzioni in modo razionale: dopo un’iniziale rassicurazione, difficilmente però assisteremo ad una modifica strutturale della sua visione del mondo.

Dobbiamo invece fare rientrare in gioco la dialettica dei sentimenti, che si è sviluppata fin dall’inizio dell’esistenza dell’individuo, ma ha avuto un arresto, spesso percepito dal paziente stesso.

A volte nella depressione la sfera razionale è conservata, ma i sentimenti negativi sono incontenibili.

La maggior parte dei pazienti depressi riconosce razionalmente come irragionevoli le sue convinzioni catastrofiche ed autodenigratorie, ma i suoi sentimenti pervasivi di indegnità non gli permettono di modificare i suoi pensieri.

Si può arrivare, nei casi di estrema gravità, alla sindrome di Cotard: il paziente afferma: “Io non esisto più”. “Io sono il nulla”. “Il mondo è finito” (la realtà esterna diviene il riflesso del suo annichilimento).

Il paziente non può ignorare razionalmente che, se sta parlando, deve essere per forza vivo, ma non riesce a padroneggiare l’irruzione di sentimenti esistenziali catastrofici che lo sovrastano e prevalgono sulla sua logica intellettuale.

Un altro vissuto paradossale è il sentimento di non provare nulla, che tuttavia provoca, contrariamente ad ogni razionalità, angoscia e sofferenza (sentimento della mancanza di sentimento secondo K. Jaspers).

Il soggetto depresso può infine ritenere tutto inutile, anche la possibilità stessa di esprimere questi stati d’animo.

Come possiamo fronteggiare questi gravi stati depressivi, in cui sentimenti caotici e paradossali prevalgono sulla ragione?

Oltre ad un adeguato supporto psicofarmacologico, resta fondamentale la relazione con il paziente, basata tuttavia non sul richiamo alla logica razionale, ma sull’empatia e sullo sforzo del terapeuta a sintonizzarsi sulla dimensione emotiva del suo assistito.

Il risveglio del sentimento di speranza, attraverso la relazione terapeutica

In particolare, il soggetto affetto da una grave depressione va incoraggiato a vivere ed a condividere i propri sentimenti, anche quando sembrano intollerabili.

Se il paziente percepirà, nel curante, un autentico atteggiamento di ascolto, privo di pregiudizi, ma ricco di disponibilità a “soffrire insieme” (compassione), potrà essere messo in condizione di dare un nome ai propri sentimenti, fino a formulare nuove concettualizzazioni.

Obiettivo finale è ripristinare un atteggiamento riflessivo, in cui sentimenti e pensieri ritornino ad essere un’unica entità concreta, nel qui ed ora.

Altrimenti pensieri e sentimenti negativi resteranno vissuti astratti, come fantasmi che continueranno a tormentare l’esistenza del paziente.

La nostra psicoterapia dialettica parte quindi dal presupposto che sentimenti e pensieri sono la stessa cosa nel dialogo concreto, che avviene nell’attualità del qui ed ora.

Riattivando il dialogo interiore, il paziente può verbalizzare i suoi sentimenti ed avere l’occasione di riviverli.

Al di là del vissuto piacevole o spiacevole, potrà quindi riscoprirne il senso di appartenenza.

Solo a quel punto sarà in condizione anche di confutare attivamente i pensieri irragionevoli.

“Pensare” è diverso da “credere”

Torniamo al cognitivismo di Beck: se egli propone un primato del pensiero razionale sui fattori emotivi, non può evitare di riconoscere il ruolo fondamentale del sentimento quando afferma:

Il paziente deve in primo luogo imparare a fare una distinzione tra pensare e credere; cioè il semplice fatto che egli pensi a qualcosa non significa per questo che egli debba crederci“.

Il “credere” rimanda ai sentimenti di fiducia, di convinzione, di speranza. Sono proprio i sentimenti che vanno in crisi nella depressione, quando il paziente li riferisce a sé: tipici sono i vissuti di autosvalutazione, di indegnità e di disperazione.

Sembra quindi che la maturazione del pensiero riflessivo debba sempre essere accompagnata dalla rinascita di un autentico sentimento del proprio valore personale.

Il pensiero astratto e teorico non ha consistenza. Credenze e convinzioni sono invece elementi concreti perché permeati di sentimenti, nella loro dialettica sempre attuale (fiducia-sfiducia, speranza-disperazione, aspirazione-rassegnazione).

La ragione è come una luce che illumina e chiarisce i problemi interiori. Per arrivare a modifiche strutturali nella personalità, tuttavia, la luce della ragione deve integrarsi con il calore della sfera emotiva.

Il sentimento è come il fuoco che rende i miei pensieri attivi e traducibili in azioni, capaci di creare un cambiamento nella realtà, in una nuova visione di me stesso e del mondo.

Riferimenti bibliografici:
  • Beck AT, Depression: Causes and Treatment, University of Pennsylvania Press, Phladelphia, 1967.
  • Beck AT, Rush JA, Shaw B, Emery G, Cognitive Therapy of Depression, The Guildford Press, New York, 1979

Si consiglia la visione del seguente video: https://www.youtube.com/watch?v=32oNyd–9cQ

Vedi anche: La depressione: patologia clinica o sentimento universale di insoddisfazione?

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