La dialettica in psicologia e in psicoterapia: la storia della “coscienza infelice” di Hegel.

Indice

Introduzione

La dialettica è un principio filosofico che ha caratterizzato la filosofia occidentale, dal pensiero dell’antica Grecia (Eraclito, Platone, Aristotele) fino agli sviluppi del pensiero moderno (Fichte, Hegel, il neoidealismo del ‘900).

Caratteristica della filosofia dialettica è la posizione centrale che assume il dialogo tra due persone, alla ricerca di una verità che non dovrebbe essere prestabilita a priori, ma il risultato dello sforzo attivo di entrambi gli interlocutori.

In psicologia e in psicoterapia, la dialettica assume una concreta applicazione: il confronto tra paziente e curante non è altro che una metafora del dialogo interiore di ogni soggetto. Che non dovrebbe essere una rimuginazione automatica (condizionata dalle abitudini quotidiane), ma una riflessione attiva e consapevole.

Attraverso il metodo dialettico in psicoterapia, ogni paziente può mettere in luce sentimenti e pensieri apparentemente opposti ed inconciliabili, trovare una loro integrazione, aprire così un varco nella conoscenza di se stesso.

Nella storia del pensiero occidentale, la dialettica ha progressivamente mutato il suo indirizzo di ricerca: non il mondo che ci circonda (campo di conoscenza delle scienze naturali), ma l’interiorità dell’essere umano: ogni individuo è pervaso da conflitti, contraddizioni ed aspirazioni ad una scelta tra opposte esigenze.

Hegel ci ha proposto la condizione della “coscienza infelice“. In effetti, almeno inizialmente, non può esservi coscienza senza infelicità.

La coscienza umana nasce sempre da un problema, da “qualcosa che non va”, che ci tiene svegli da uno stato di quiete e di “sonno”. In ognuno di noi, la consapevolezza di un iniziale stato di infelicità può essere lo stimolo per dare un senso alla nostra esistenza.

La tensione per conoscere se stessi è spesso dolorosa e fonte di sofferenza, ma può consentire al soggetto di arrivare a sentirsi un tutt’uno con il mondo. Fino alla capacità di riconoscere se stesso anche nell’altro con cui dialoga.

La dialettica nasce da una coscienza “infelice”.

Georg W. Hegel (1770-1831), nel suo contributo filosofico, ha tentato di fornire una visione del mondo sistematizzata ed oggettiva, a volte fredda nei suoi schematismi astratti. In questo contesto, l’individuo è spesso relegato ad un’entità trascurabile e contingente.

Nella “Fenomenologia dello Spirito”, tuttavia, troviamo una significativa rappresentazione psicologica dell’essere umano e delle sue vicende esistenziali. La sua coscienza è “infelice” proprio perché limitata e particolare.

L’infelicità può essere superata solo attraverso lo sforzo del soggetto di spingersi oltre ogni isolamento ed egoismo.

Questo processo avviene per gradi: è spesso doloroso e si accompagna a sentimenti pervasivi, spesso drammatici ed ambivalenti.

La “coscienza infelice” è una metafora dell’esistenza umana. È l’individuo alla ricerca della propria identità.

Le fasi del processo di conoscenza di sè.

Il soggetto conosce prima il mondo che se stesso. Se vuole apprendere chi è, deve innanzitutto porsi in relazione con un oggetto esterno.

Il soggetto e l’altro non sono entità separate, ma sempre in relazione ed in conflitto.

La coscienza di sè nasce in antitesi con il mondo: posso conoscere me stesso solo tramite la percezione di qualcosa di “altro” da me.

Hegel sosteneva che la “coscienza universale”, da uno stato iniziale di infelicità e di limitazione, potesse acquisire progressivamente consapevolezza delle sue infinite potenzialità attraverso varie fasi di evoluzione.

Sviluppando il tema in termini psicologici, è possibile un parallelismo tra gli stadi di maturazione della “coscienza infelice” e le fasi dello sviluppo del singolo individuo.

Il trauma della nascita.

Che sentimenti prova l’uomo alla coscienza originaria del suo contatto col mondo esterno? Innanzitutto uno stato di paura: il neonato messo al mondo piange, trovandosi gettato in una realtà sconosciuta.

La nascita non è altro che l’affiorare di uno stato di tensione e di smarrimento.

Quindi, nei primi anni di vita, la paura originaria si evolve in uno stato d’animo più complesso ed ambivalente

Il bambino e il sentimento religioso di devozione.

Nel bambino, la coscienza dell’esistenza di un “altro” (il genitore, il maestro, in generale l’adulto) si associa ad un vissuto di timore verso un’entità percepita come onnipotente, frammisto a speranza che la persona di riferimento sia benevola.

Il risultato è un sentimento di devozione: è caratterizzato da rispetto, obbedienza verso una figura “superiore”, cui il bambino può associare anche un velato risentimento per lo stato di subordinazione in cui si trova.

Questi stati d’animo sono la base anche dell’atteggiamento religioso dell’uomo verso il mondo, che nasce nell’infanzia e si concretizza nell’immagine di Dio: figura che può assumere le caratteristiche del padre amorevole che può concederci la beatitudine, ma anche quella di un padrone severo che può condannarci alla dannazione.

In ogni caso, è sempre dall’esperienza di qualcosa di “altro” che nasce la coscienza individuale.

L’adolescenza e la ricerca della propria identità.

Il soggetto ha ora realizzato la consapevolezza di una prima distinzione tra se stesso ed il mondo. Questo porta allo sviluppo dell’identità dell’io, che nasce durante l’infanzia e si consolida in adolescenza.

A questo punto sono in grado di riconoscere e di isolare me stesso: l’acquisizione di una identità individuale, tuttavia, è anche l’esperienza dei miei limiti e della mia defettività. Sono un essere particolare, finito, che nasce ed inevitabilmente morirà, lasciando tracce di sè trascurabili.

La presa di coscienza delle mie limitazioni può associarsi ad una miriade di vissuti concomitanti: apatia, indifferenza verso il futuro, distacco nelle relazioni, rabbia, ribellione; fino a stati di disperazione per l’impossibilità di conferire un senso all’esistenza.

“Si presenta così il movimento interiore del soggetto che sente sì se stesso, ma si sente dolorosamente come scissione” – scrive Hegel.

Dalla nostra esperienza clinica, soprattutto nell’adolescenza può svilupparsi questa fase di crisi: il ragazzo costruisce faticosamente la sua identità, quindi si rende conto di essere giunto alla consapevolezza dei propri difetti.

Dove può condurre questo stato di disperazione? Per la legge dialettica e contradditoria dei sentimenti, da uno stato di crisi che sembra irreversibile, ecco che rinasce uno stato d’animo opposto, che rovescia la situazione.

Sono divenuto consapevole che sono un essere finito, ma questo non mi può bastare. Sento in me la percezione (inizialmente indistinta, quindi sempre più viva ed intensa) di qualcosa di infinito.

Per natura, ogni uomo sente di voler andare oltre i confini individuali. Li ha costruiti per avere un’identità personale, ma sembrano diventati una prigione.

Al tempo stesso, ogni individuo avverte la vaga sensazione di un’unità primordiale di cui è stato parte e che dà ancora segno di esistere dentro di lui.

Il desiderio di ritrovare quell’unità perduta è la tensione che lo tiene vivo. Ma è una tensione spiacevole. La meta sfugge, “anzi è già sfuggita nell’atto in cui si tenta di afferrarla”.

La maturazione dell’individuo, tra nostalgia e tensione verso l’infinito.

Nonostante questa esperienza dolorosa, resta nel soggetto la sensazione che un’unità, un’armonia con il mondo sia possibile. Come se in un passato oscuro fosse già avvenuta.

Si realizza così il sentimento di nostalgia per un legame che percepiamo di avere avuto, di avere perso e che vorremmo ritrovare. Un’immagine di questa unità ideale è quella del bambino in braccio alla madre, che si ritrova nell’iconografia di diverse tradizioni religiose.

In effetti, tutti abbiamo percepito, nella vita intrauterina, l’unità con il corpo materno, senza poterla elaborare in modo chiaro. Siamo quindi in uno stato indeterminato di tensione per ritrovare un’armonia di cui abbiamo goduto e di cui siamo stati privati.

L’età adulta e lo smascheramento delle illusioni.

Ogni sforzo individuale per raggiungere l’armonia definitiva è però destinato a fallire.

Nella vita quotidiana ci poniamo continuamente obiettivi illusori per sopravvivere: ad esempio, ci convinciamo che quando avremo raggiunto quella posizione lavorativa, quel partner o quell’oggetto dei desideri, allora tutto andrà a posto.

Inseguiamo quindi, di volta in volta, diversi traguardi, raggiunti i quali torna ad emergere un senso di insoddisfazione e di frustrazione.

Infine, quando l’essere umano diviene davvero adulto, cioè abbastanza maturo per essere onesto con se stesso, acquisisce questa consapevolezza: soddisfare un desiderio non è altro che la sorgente di un nuovo stato di tensione e di disagio.

A questo punto, non ci resta che provare un sentimento generalizzato di resa, di rinuncia, di rassegnazione.

Rassegnazione, mortificazione e rinascita.

La rassegnazione è sempre un sentimento ambivalente: da un lato proviamo sollievo nel ritirarci da un’impresa impossibile; dall’altro siamo tristi e delusi per il nostro evidente fallimento.

Col tempo, però, rinasce la nostra esigenza di tendere verso l’infinito. Sembra implacabile e ci porta ad un nuovo scontro con noi stessi e con la realtà.

In questo momento di crisi, Hegel descrive la comparsa, nel soggetto, di un intento di auto-mortificazione: in effetti l’individuo, quando è pervaso dalla frustrazione per l’impossibilità nel raggiungere un traguardo ideale, può finire col danneggiare se stesso. A volte subdolamente, a livello psicologico, altre volte concretamente, a livello fisico.

Esistono pazienti che non riescono a dare una spiegazione razionale al loro comportamento autolesionistico. Tuttavia non possono fare a meno di farsi del male, attraverso varie modalità: ritiro relazionale, disprezzo della propria immagine corporea, rifiuto del cibo, fino al tentativo di suicidio.

Molti pazienti con cui entriamo in contatto possono esprimere, attraverso un attacco al corpo, questa esigenza impossibile di arrivare all’armonia con l’infinito.

Solo attraverso l’esperienza del “nulla” diventiamo capaci di cogliere il “tutto”.

Tramite la logica dialettica, l’essere umano, quando raggiunge il punto più basso ed alienante della propria condizione, ha l’occasione di rinascere con una nuova identità: proprio mediante la sofferenza e l’esperienza di auto-annichilimento, il soggetto può arrivare a prendere coscienza di essere il Tutto, l’Universale. Ovvero l’Io con la I maiuscola.

Secondo Hegel, il soggetto deve passare necessariamente attraverso l’esperienza di rinnegamento e frammentazione di se stesso per prendere coscienza della sua natura infinita, unitaria ed universale.

Come può avvenire tutto questo? La sofferenza spinge l’individuo a generare dentro di sè la “ragione“, ovvero un senso, un significato da conferire alla sua personale esistenza.

Seguendo il principio dialettico che anima l’essere umano, l’individuo raggiunge la ragione solo passando attraverso l’irrazionalità e la follia.

La differenza tra “intelletto” e “ragione”.

Secondo Hegel, l’intelletto è un’entità finita e limitata. Al contrario la ragione è una facoltà infinita, che supera i ristretti confini dell’io individuale.

La Ragione è la certezza della coscienza di essere ogni realtà”.

In effetti, l’intelletto corrisponde al nostro cervello: è la sorgente dei pensieri, ovvero di una serie di “codici” prodotti dal sistema nervoso per adattare il nostro corpo a determinati stimoli. I pensieri sono spesso automatici, involontari, derivati da un condizionamento sull’organismo (genetico e ambientale).

L’intelletto, tramite il pensiero, divide, analizza e scompone la realtà. Quando svolge efficacemente queste funzioni, le prestazioni del nostro organismo sono valide.

Grazie al nostro cervello possiamo imparare, ad esempio, a guidare l’automobile, a fare il medico, perfino ad andare sulla luna.

Non possiamo chiedere, però, all’intelletto di riuscire a comprendere il significato della nostra esistenza. Altrimenti, se sovraccaricato, darà segni di scompenso e di disturbo mentale.

Mentre l’intelletto divide, la ragione unifica.

La “ragione” dell’essere umano è la coscienza di sè: la capacità di essere “presenti nel mondo”, fino a sentirci un tutt’uno con il mondo stesso. La “ragione” è la capacità estendere i confini di sè all’Universo intero.

In questo contesto, gli altri esseri umani sono parte di noi, rappresentazioni di sentimenti, pensieri ed atteggiamenti che sono nostri.

Se avvertiamo davvero un’unità con gli altri e con il mondo che ci circonda, non c’è spazio per l’egoismo e per il particolarismo. E neppure per la sofferenza psichica.

Non posso patire per una mancanza, se riesco ad identificarmi con il Tutto.

L’intelletto è una funzione passiva del nostro cervello.

La ragione è invece uno sforzo attivo, che si realizza quando diveniamo in grado di identificare il nostro io non solo nella persona convenzionale che interpretiamo, ma anche con l’altro che è davanti a noi.

La ragione (o conoscenza di sè) non è una realtà già data da rispecchiare, ma è un processo attivo, in divenire. Si realizza in questo momento, nel presente. Io stesso sono questo presente.

La dialettica in psicoterapia.

Hegel riteneva che la dialettica fosse una legge metafisica: secondo il filosofo tedesco, un presunto Spirito assoluto avrebbe dovuto prendere coscienza di se stesso attraverso l’esperienza del “Non-Essere”, ovvero tramite la relazione e lo scontro col mondo materiale. Questa visione non è ovviamente accettabile nel panorama scientifico moderno.

In psicoterapia, invece, dobbiamo considerare la dialettica come una legge psicologica: l’individuo comprende la sua natura e le sue potenzialità attraverso il confronto con la realtà, che gli si pone come ostacolo. Posso conoscere chi sono solo attraverso l’esperienza di che cosa non sono.

L’esperienza di conoscenza di sè e dei propri limiti, a volte, è però troppo dolorosa per essere affrontata individualmente. Talora la sofferenza porta il paziente a difendersi attraverso sintomi psichici di varia gravità: ansia, fobie, depressione, ossessioni, fino a sviluppi deliranti.

Lo psicoterapeuta ha la funzione di condividere il dolore e di darne un significato, alla luce di questo principio dialettico universale: non vi può essere una realizzazione personale senza l’esperienza di fallimento, così come non esiste luce senza tenebre.

Solo quando la sofferenza acquista un senso può essere accettata. Questo può diventare il motore per una rinascita individuale.

La storia della “coscienza infelice” riflette lo sviluppo della nostra personalità.

Le vicende della “coscienza infelice” descritte da Hegel corrispondono davvero alle vicissitudini di ognuno di noi.

Pur in contesti diversi (che dipendono dalla storia personale), tutti noi proviamo, nel corso della vita, fasi di smarrimento, di nostalgia, di speranza e devozione verso qualcuno, di disperazione e fallimento. I vissuti negativi, se ben veicolati, possono divenire lo stimolo per una trasformazione personale.

Alcuni sentimenti dolorosi, tuttavia, possono diventare pervasivi e paralizzanti. Nel soggetto può insorgere un arresto della dialettica interiore, se alcune esperienze sono percepite come traumatiche e difficili da comprendere.

Non possiamo affrontare tutto da soli: grazie alla psicoterapia è possibile uscire dall’individualismo attraverso il dialogo con un “altro”, che in realtà è parte di me.

All’interno di una psicoterapia, la messa in luce di questi meccanismi dialettici può consentire al paziente di riprendere il processo di conoscenza di sè, che tende all’infinito.

La coscienza dell’Io: “Conosci te stesso”

 

Vedi anche il video: “Introduzione al metodo dialettico in psicoterapia”: https://www.youtube.com/watch?v=OKHMd_S6TdE&t=2s

 

Dialettica in psicoterapia.

Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perchè il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo” – scrive Eraclito, uno dei primi pensatori greci che ha visto nel divenire e nella dialettica la base dell’esistenza. Un semplice corso d’acqua può divenire un fiume quando infinite gocce d’acqua si uniscono. Analogamente, quando ogni individuo diviene consapevole di sè, l’umanità può evolversi e trovare la sua unità.

 

 

 

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