La fenomenologia come scienza della soggettività. Da Husserl a Jaspers.

La nascita della fenomenologia

Edmund Husserl (1859-1938), fondatore della fenomenologia, ha sentito la necessità di far nascere una nuova scienza da una semplice constatazione.

Le scienze naturali non possono cogliere l’originalità soggettiva del singolo individuo. Possono piuttosto fornirci informazioni sulla realtà che ci circonda, per padroneggiarla e manipolarla. Le scienze naturali sono le scienze dell’oggetto, non del soggetto.

La fenomenologia deve essere, invece, una scienza della soggettività, per studiare il lato più autentico dell’essere umano: l’intenzionalità della coscienza.

Pensare che l’uomo abbia un’intenzionalità, ovvero una volontà libera e spontanea, è un’assurdità dal punto di vista della scienza naturale. In che senso l’uomo potrebbe sottrarsi, a differenza degli altri organismi, alle leggi meccaniche dell’Universo? Nel mondo naturale non esiste alcuna libertà individuale; è abolita ogni soggettività.

Un metodo scientifico è coerentemente naturalistico se è puramente oggettivo, anonimo, impersonale. Nella scienza naturale non vi è spazio per la personalità dell’uomo.

Per costituire, invece, una scienza della soggettività e della personalità è necessaria una modifica sostanziale dell’atteggiamento dell’esaminatore. E’ richiesta una radicale sospensione del giudizio sulla realtà oggettuale.

Il mondo esterno non viene negato nella sua esistenza; viene piuttosto messo tra parentesi. Se siamo immedesimati nel mondo, diventiamo noi stessi “oggetti” della Natura e ci depersonalizziamo.

Il sentimento di “trascendere”

In fenomenologia è richiesto all’uomo di andare oltre (trascendere) tutte le comuni convinzioni della vita quotidiana, compreso lo stesso pensiero razionale.

Dobbiamo quindi oltrepassare anche l’idea del cogito ergo sum di Cartesio, che si illudeva di ridurre l’uomo ad una “sostanza pensante”.

In primo luogo, l’individuo non è una sostanza, nè una cosa, nè un oggetto, ma è un soggetto.

In secondo luogo, l’uomo non può limitarsi all’identificazione col suo pensiero intellettuale. Perderebbe così l’originalità individuale che lo rende capace di provare sentimenti, che insorgono spontaneamente nella personalità di ognuno di noi.

“Io sono”

Il sentimento connesso all’esistenza è la coscienza dell’Io, un’attività psichica individuale non ulteriormente derivabile (“Io sono”).

La coscienza dell’essere umano possiede una caratteristica peculiare: quella di potersi distaccare dagli oggetti della realtà e dai propri pregiudizi (ovvero i condizionamenti del mondo esterno).

Attraverso la fenomenologia ed il suo metodo, il soggetto, secondo Husserl, può arrivare a conoscere le essenze della realtà.

Io sono autonomo e attivo? O sono uno strumento passivo di un Essere che mi manovra?

Husserl resta tuttavia ambiguo sulla possibilità dell’uomo di padroneggiare autonomamente la realtà.

Talora l’intenzionalità della coscienza sembra corrispondere al sentimento originario dell’uomo di voler conoscere il mondo.

In altri passi, nella fenomenologia sembrano invece le cose a voler presentarsi all’individuo a loro piacimento, attraverso una rivelazione. L’atto di rivelarsi sembra dipendere non dall’uomo, ma da una realtà esistente di per sè, inconoscibile nella sua totalità.

Da un lato, quindi si parte alla ricerca di un’intenzionalità attiva dell’Io nel conoscere. Dall’altro, si rischia di giungere alla conclusione che conoscenza, volontà e libertà sono possibili solo attraverso il disvelamento (apofania) di un Essere superiore, distinto da me.

L’Essere si rivela tramite una sua azione arbitraria? A questo punto, allora, una libera attività del soggetto è fittizia. L’io individuale è dipendente da un intervento dell’Essere trascendente, quindi è passivo, sia a livello esistenziale (ontologico), sia a livello conoscitivo della realtà (gnoseologico).

Il contributo di K. Jaspers: la fenomenologia per studiare le patologie psichiatriche

K. Jaspers, nella sua Psicopatologia Generale (1913), risente profondamente dell’influenza del pensiero di Husserl.

Jaspers intende applicare l’atteggiamento fenomenologico alla psiche umana, per arrivare ad una scienza della soggettività.

L’Io, ovvero il soggetto in prima persona, secondo Jaspers ha un’intrinseca attività (coscienza dell’attività dell’Io). L’essere umano avrebbe quindi un’autonoma capacità di scelta, di volontà e di auto-affermazione.

L’uomo si oppone dialetticamente al mondo esterno per conoscere meglio se stesso, attraverso il principio della riflessione.

La riflessione è un’attività, non un passivo rispecchiamento di pensieri già esistenti (come il termine potrebbe fare immaginare).

Come termina lo slancio conoscitivo dell’essere umano nel pensiero di Jaspers? Nel testo Metafisica (1933) il destino dell’individuo, purtroppo, è il “naufragio”, a meno che non vi sia l’intervento di un Essere trascendente che lo salvi e lo illumini. Questa rivelazione divina non può essere spiegata dalla ragione umana. Può, al limite, essere intuita attraverso i sentimenti della fede e dell’abbandono.

Tale deriva ontologico-metafisica del pensiero di Jaspers può mettere in crisi la validità della psicopatologia come scienza: se devo affidarmi alla fede religiosa come posso fondare uno studio scientifico della psiche umana?

L’Autore non ha affrontato, forse volutamente, questo argomento, prediligendo un’analisi non sistematica dei fenomeni della vita psichica. Da essa emerge un essere umano in costante inquietudine, per il suo continuo slancio di voler andare oltre se stesso, accettando anche il rischio di naufragare pur di cercare di raggiungere l’assoluto.

L’angoscia è il sentimento cardinale dell’esistenza. E’ un vissuto opprimente ma, al tempo stesso, è anche la tensione fondamentale che permette l’esistenza. La vita psichica è continuo divenire, altrimenti avremmo davanti solo quiete e morte. Si avvertono, in particolare, le influenze del pensiero di S. Kierkegaard, secondo cui “l’angoscia è la vertigine della libertà”.

Come possiamo risolvere il conflitto tra esigenza di uno studio scientifico della psiche, da un lato, e conservazione della sua originalità soggettiva, dall’altro?

Si può partire dallo stesso spirito della fenomenologia, che propone una modifica del nostro atteggiamento ed il distacco da ogni realtà precostituita: il mondo naturale non è negato a priori, ma non viene considerato a fini conoscitivi. 

Dietro ad ogni realtà dogmatica ed esistente “di per sè” si cela una negazione dell’uso della ragione umana.

Il primo principio di conoscenza che posso conservare è che io esisto. Il verbo “essere” è l’unico che non necessita di un oggetto per avere una realizzazione, un compimento.

Il secondo principio è che io ho una consapevolezza di esistere (coscienza dell’Io). Essa non sarebbe possibile se non esistesse un problema, ovvero la contrapposizione tra me e la realtà oggettuale.

Da tale dialettica originaria nasce non solo la vita psichica, ma anche la possibilità di fondare la fenomenologia come una scienza psicologica che ponga al centro il soggetto in prima persona.

In psicopatologia sospendiamo ogni giudizio sull’esistenza di un Essere metafisico (ricerca che lasciamo alla teologia). La fenomenologia dovrebbe porre al centro dello studio non una presunta realtà trascendente (separata da me stesso), ma il sentimento di trascendere, ovvero il mio slancio di voler andare oltre i limiti individuali, per vivere nella tensione verso la totalità universale.

La coscienza dell’Io: “Conosci te stesso”
Per approfondimenti:
https://www.youtube.com/watch?v=nb7SofQSzDg 
https://www.youtube.com/watch?v=OxqYKR7zJmw

 

fenomenologia

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