Introduzione
I “sintomi di base” della psicosi sono indici di un iniziale arresto della dialettica tra soggetto e realtà oggettuale.
La prima forma di oggetto che l’individuo esperisce è innanzitutto la visione di sè. Nella psicosi nascente notiamo come sia proprio la relazione del soggetto con se stesso ad andare in crisi. Dapprima impercettibilmente, quindi in modo crescente, fino ad una frammentazione progressiva che coinvolge anche la relazione con il mondo esterno.
Si realizza quindi la progressiva “perdita del contatto vitale con la realtà”, descritta, all’inizio del secolo scorso, da E. Minkowski.
Ad uno stadio iniziale, la crisi tra l’individuo e la visione di sé (compresa la propria corporeità), è riconosciuta e criticata dal paziente (“sento come se i pensieri non fossero i miei”, “sento come se il mio corpo non mi appartenesse, non avesse più un’unità”).
Il soggetto avverte sentimenti di frustrazione, subdoli ma pervasivi. Ha la sensazione di stare perdendo la padronanza della sua volontà e la capacità di tradurre i pensieri in azione.
Come noto, E. Bleuler individuò nel deficit dei processi associativi il disturbo nucleare della schizofrenia: la personalità del soggetto progressivamente si frammenta e si disgrega.
I sintomi di base e i disturbi della coscienza dell’Io
Nella psicopatologia del secolo scorso e di quello attuale è stata data grande importanza alla ricerca delle prime manifestazioni della psicosi.
L’obiettivo è quello di prevedere e idealmente prevenire la progressione di questo processo patologico.
Da questa esigenza nasce il contributo della Scuola di Bonn (in particolare di G. Huber e G. Gross) nello studio dei sintomi di base: essi sono deficit di funzioni elementari cognitive e sensopercettive, presenti in pazienti nella fase antecedente al primo episodio psicotico, ed evidenti anche nei periodi intercritici della patologia.
L’attività cognitiva perde spontaneità, così come il senso di appartenenza ai propri pensieri.
Si evidenziano, in primo luogo, i seguenti disturbi della coscienza dell’Io classicamente descritti da K. Jaspers nella Psicopatologia Generale.
Alterazione dell’attività dell’Io
Il soggetto percepisce di non essere più padrone dei propri giudizi e sentimenti; ha spesso la sensazione che pensieri ed emozioni siano divenuti automatici e meccanici.
L’individuo avverte che l’attività di governo delle proprie funzioni cognitive ed affettive sta venendo meno. È proprio tutto quello che lo denota come un essere umano e lo differenzia da un automa.
Chiamiamo “depersonalizzazione” questo sintomo.
La depersonalizzazione è ancora riconosciuta dal paziente come problema nelle fasi prodromiche della psicosi, prima della nascita del delirio e della frattura del rapporto con la realtà.
Contribuisce a generare intensi vissuti di disagio e di frustrazione.
Alterazione dell’unità dell’Io
Il soggetto si sente scisso, come se si accorgesse della strutturazione in lui di diverse personalità non conciliantesi fra loro, con differenti modi di giudicare e di percepire emozionalmente la realtà.
Il sentimento di sé non è ancora tuttavia completamente disgregato come nella psicosi acuta.
Nella fase prodromica, l’Io episodicamente si scinde, quindi tende a ricomporsi.
Nelle fasi di scissione, dà luogo a comportamenti esteriori inusuali per il soggetto: di impulsività, disinibizione o eccessiva chiusura.
Alterazione dell’identità dell’Io
Caratteristica dell’essere umano è quella di percepire un nucleo persistente di sè che non si modifica, ovvero l’identità. Essa si mantiene costante, pur nel continuo mutamento del mondo esterno e della propria stessa corporeità.
Nelle fasi pre-psicotiche, il soggetto inizia a sentirsi, invece, inerme nei confronti degli eventi temporali. Al punto da avvertire un processo di paradossale capovolgimento in atto.
Il tempo, da categoria che mi consente di organizzare e strutturare la realtà, inizia a divenire un’entità dotata di vita propria.
Il tempo diviene il vero Essere: mi domina, mi ruba l’autonomia (quindi l’identità) e mi rende un oggetto in balia degli eventi.
Alterazione dei confini dell’Io
Il corpo, in condizioni normali, è avvertito spontaneamente come la barriera naturale tra me stesso ed il mondo esterno; il corpo è inoltre rappresentazione dei miei sentimenti e della mia volontà.
Se il confine tra me stesso e la realtà oggettiva va incontro a frammentazione, potrò avvertire la sensazione che i miei pensieri siano imposti dall’esterno. Oppure che il mio corpo possa essere manipolato, contro la mia volontà, da energie ignote ed invisibili.
La crisi della relazione tra il soggetto e il suo corpo
Il primo segnale di una disarmonia tra me stesso ed il mio corpo è la perdita di naturalezza nell’eseguire attività semplici o, a maggior ragione, complesse della vita quotidiana.
Le azioni diventano progressivamente macchinose e necessitanti di maggior tempo e concentrazione da parte del soggetto.
Attività prestazionali che implicano una coordinazione di funzioni sensitive e motorie sono effettuate con crescente difficoltà.
Il soggetto deve sforzarsi sempre più a seguire una lezione e prendere appunti, ascoltare più persone durante un discorso di gruppo, partecipare ad un’attività sportiva di squadra.
Anche azioni apparentemente banali richiedono un notevole dispendio energetico. Può diventare faticoso perfino prendere una bottiglia d’acqua e versarne il contenuto in un bicchiere.
Le “cenestopatie”
Dal punto vista esteriore, la perdita di armonia tra soggetto e corporeità si può determinare attraverso le cosiddette cenestopatie.
Sono sensazioni dolorose localizzate o diffuse, di tipo urente, costrittivo o trafittivo, in assenza di una patologia somatica evidenziabile. Si possono associare anche a movimenti automatici ed involontari in alcuni distretti del corpo (viso, tronco, arti, ecc.).
Nelle fasi pre-psicotiche, la coscienza dell’Io va incontro ad un “disturbo” della sua funzione, in assenza di una globale compromissione. Il soggetto può ancora avvertire la presenza di anomalie della percezione della realtà oggettuale. Si rende conto anche di una menomazione nella capacità di giudizio e di trasformare spontaneamente i pensieri in azioni.
La ricerca di un nesso tra sintomi e lesioni cerebrali
Secondo G. Huber e G. Gross, le manifestazioni comportamentali del paziente pre-psicotico sono il complesso risultato delle reazioni che il soggetto pone in atto per far fronte alla percezione di un progressivo deficit delle proprie funzioni psichiche.
Obiettivo della Scuola di Bonn è quello di cercare di risalire ai sintomi direttamente connessi con il substrato neuronale alterato, che viene individuato nel sistema limbico.
I sintomi di base sarebbero quindi le alterazioni cognitive e di comportamento direttamente sottese da una lesione neuroanatomica.
Sintomi da lesione cerebrale e sintomi di “primo rango”
Secondo G. Huber, “i sintomi di base non sono fenomeni ulteriormente derivabili in senso psicologico, non esistono processi psicoreattivi che possano spiegarne l’insorgenza”.
Sarebbe la reazione del soggetto ai sintomi di base a costruire, progressivamente, le manifestazioni cardinali della psicosi schizofrenica indicate da K. Schneider come sintomi di primo rango.
Essi sono: deliri di influenzamento e di controllo, furto del pensiero, esperienze di influenzamento somatico, allucinazioni uditive che si esprimono come commento degli atti, dialogo tra più voci, eco del pensiero.
La “schizofrenia cenestesica”
L’alterazione neuroanatomica generatrice dei sintomi di base viene ipotizzata da Huber nel talamo. Quest’area ha la funzione di filtro tra più stimoli per prevenire interferenze sensoriali e nello stabilire una gerarchia selettiva tra le percezioni somatiche.
Huber propone, inoltre, un’associazione tra la presenza di cenestopatie del paziente pre-psicotico e l’insieme di sintomi da danno talamico riscontrabile nel paziente neurologico.
Chi riporta una lesione al talamo presenta sintomi sensitivi diffusi come parestesie, dolore urente, costrittivo o tipo scossa elettrica.
A questo proposito Huber proponeva, negli anni ’50, il concetto di “schizofrenia cenestesica”. La maggior parte dei pazienti che presentavano questi sintomi (in assenza di lesioni talamiche obiettivabili), avrebbe sviluppato in seguito i sintomi di primo rango secondo K. Schneider.
La Scala di Bonn e i sintomi di base
La scuola tedesca di Huber e Gross ha portato allo sviluppo della Scala di Bonn per la valutazione dei sintomi di base (BSAB, testo tradotto in italiano da C. Maggini e R. Dalle Luche).
Ulteriori elaborazioni della Scala hanno portato allo sviluppo, da parte di Klosterkötter et al., della Schizophrenia Proneness Instrument (SPI). Attraverso questo strumento psicometrico, sono stati individuati gruppi di sintomi di base maggiormente predittivi dello sviluppo di una psicosi, quali i COPER (cognitive-perceptive basic symptoms) e i COGDIS (Cognitive Disturbances).
I CODGIS sono, in particolare, i nove sintomi di base maggiormente predittivi dello sviluppo di una psicosi:
- Incapacità a suddividere l’attenzione (disturbo dell’attenzione selettiva).
- Interferenza del pensiero.
- Pressione del pensiero.
- Blocco del pensiero.
- Disturbo della comprensione dell’eloquio.
- Disturbo dell’espressione dell’eloquio.
- Idee di riferimento instabili.
- Disturbo del pensiero astratto.
- Distraibilità dell’attenzione da dettagli del campo visivo.
Il 37% dei pazienti che hanno presentato almeno due dei sintomi di base sopra descritti negli ultimi tre mesi precedenti la valutazione, insieme ad un punteggio uguale o maggiore di 3 alla versione per adulti della Schizophrenia Proneness Instrument (SPI-A), ha sviluppato sintomi psicotici conclamati entro i tre anni successivi (Klosterkötter et al., 1997).
Gli stati mentali “a rischio” di psicosi.
“High Risk state for psychosis” (HR), “At risk mental states” (ARMS), “ultra high risk state” (UHR) sono termini utilizzati nel tentativo di cogliere gli stati prepsicotici, ovvero i sintomi prodromici della psicosi (Fusar-Poli et al., 2013).
Il termine “prodromico”, in relazione alla psicosi, è stato utilizzato per la prima volta da Mayer-Gross nel 1932.
Parallelamente alla scuola tedesca, all’inizio degli anni ‘90 H.J. Jackson e P.D. McGorry ricercarono le manifestazioni compatibili con i sintomi prodromici della psicosi.
Sulle basi del loro lavoro, Yung, McGorry et al., nel 1995, iniziarono a sviluppare il valore predittivo dei criteri ARMS, fino a sviluppare la CAARMS (Comprehensive Assessment of At-Risk Mental States).
Il disadattamento funzionale alla base delle ricerche nordamericane ed australiane
In modo pragmatico, questo modello operazionistico è meno interessato al problema del vissuto del soggetto e dell’arresto della sua dialettica interiore.
Si pone invece, in primo piano, quanto il paziente sia disadattato all’ambiente, ovvero quanto i sintomi siano fonte per lui di menomazione funzionale.
Si assiste, negli stadi pre-psicotici, ad un disturbo delle prestazioni del soggetto non ancora tale da creare una compromissione delle attività occupazionali.
Quando i sintomi divengono tali da compromettere la capacità di critica del soggetto, si giunge ad una perdita del suo adattamento all’ambiente e quindi alla diagnosi di psicosi conclamata.
Il modello di Yung e McGorry considera anche la familiarità come un fattore di rischio significativo ed indipendente per lo sviluppo di una psicosi.
Gli Autori propongono le seguenti categorie operative.
GRDS (Genetic Risk and Deterioration Syndrome)
Storia familiare di psicosi o paziente con personalità schizotipica (secondo i criteri del Manuale DSM) + declino del funzionamento psicosociale.
APS (Sintomi da Psicosi Attenuata)
Sono sintomi positivi sottosoglia: idee di riferimento, pensiero magico, disturbi percettivi, ideazione paranoide, pensiero ed eloquio inusuale, persistenti con frequenza o intensità sottosoglia, presenti per più di una settimana e declino-persistenza di basso funzionamento psicosociale.
BLIP (Brief Limited Intermittent Psychosis)
Sono sintomi psicotici intermittenti individuati alla CAARMS, della durata di una settimana. I sintomi consistono in pensieri inusuali ma non bizzarri, percezioni distorte, eloquio disorganizzato. Vi è remissione spontanea entro 7 giorni. L’esordio dei sintomi avviene entro gli ultimi 12 mesi in associazione a declino del funzionamento psicosociale o a persistente basso funzionamento.
I criteri “Ultra High Risk”
I pazienti a maggiore rischio di presentare una psicosi conclamata nel follow-up rispondono ai “Criteri UHR” (Ultra High Risk). Sono cioè inclusi in una o più delle seguenti sindromi: psicosi attenuata, GRDS, BLIP, UPS (unspecified prodromal symptoms).
La presenza simultanea dei sintomi di base CODGIS e dei criteri UHR è associata al maggior rischio di esordio psicotico, secondo Fusar Poli et al., 2013.
L’Autore propone che i sintomi di base (BS) siano le manifestazioni precoci della psicosi nascente. APS e BLIP sarebbero, invece, le sindromi dello stadio immediatamente prececedente alla psicosi conclamata. Il grafico sottostante è esemplificativo del modello proposto.
I sintomi BLIP ed il rischio di esordio psicotico
I sintomi BLIP (Brief Limited Intermittent Psychotic Symptoms) non sono considerati ancora sintomi di psicosi conclamata. Stanno assumendo, però, un ruolo di particolare interesse nella ricerca psicopatologica, poiché considerati quelli più contigui alla psicosi acuta.
Fusar-Poli et al. (2017) hanno messo in evidenza, anzi, come questi sintomi possano considerarsi quasi sovrapponibili ai sintomi di primo rango secondo K. Schneider. La differenza è la durata intermittente e la presenza ancora di un barlume di critica. Il soggetto non comunica ancora pensieri francamente bizzarri. Si sente ancora come se qualcuno gli stesse rubando i pensieri, come se un’entità esterna gli imponesse di eseguire alcune azioni ed influenzasse il suo corpo.
Inoltre, i sintomi BLIP si possono ritrovare anche nel paziente schizofrenico durante le fasi post-acute ed intercritiche della patologia.
Secondo questi Autori, nel sottogruppo dei pazienti ad ultra-rischio di psicosi vi sarebbero livelli diversi di probabilità di evoluzione di psicosi: BLIP > APS > GRDS.
Metà dei pazienti che presentano i sintomi BLIP svilupperà un disturbo psicotico nel follow-up.
Il rischio aumenta significativamente se i sintomi sono associati a disorganizzazione del comportamento o a manifestazioni considerate pericolose per l’incolumità del paziente. Ad esempio, “è come se un’entità maligna mi dicesse di farmi del male”.
Le alterazioni anatomiche correlate al successivo sviluppo di una psicosi riguardano il sistema limbico: riduzione di volume della corteccia paraippocampale, di quella del cingolo, insulare e prefrontale.
Strategie terapeutiche per i pazienti ad alto rischio
Nei pazienti HR, non essendo ancora presenti linee guida psicofarmacologiche per la prevenzione della psicosi, sono raccomandati interventi psicologici e psicoeducativi.
Fondamentale è fornire tutte le informazioni sugli effetti che la cannabis e le sostanze d’abuso possono avere nello slatentizzare una psicosi acuta.
Si può prendere in considerazione anche l’utilizzo di agenti non farmacologici neuroprotettivi, come gli acidi grassi omega 3 (Fusar Poli et al., 2013), oltre ad una continuativa presa in carico specialistica.
Differenze tra modello europeo e nordamericano
La psicopatologia europea, da Bleuler a Minkowski alla Scuola di Bonn, incentra lo sviluppo della psicosi su due poli.
Da un lato, un’alterazione presumibile a livello del sistema nervoso centrale (ancora in fase di definizione).
Dall’altro, la reazione dialettica che il soggetto mette in atto per cercare di far fronte al processo patologico cerebrale in atto. Stanghellini propone, a questo proposito, il concetto di “mediazione psicoreattiva”.
La psichiatria nordamericana ed australiana (attraverso il contributo di Yung, Mc Gorry, Fusar-Poli), invece, non prende in considerazione il problema del rapporto tra il soggetto individuale e la patologia neuronale.
Privilegia, invece, l’individuazione di “item” (sintomi e comportamenti quantificabili e misurabili) in grado di fornire un rischio statisticamente rilevante di sviluppo di una psicosi nel corso della vita.
Tale impostazione riduzionistica è di indubbia utilità pratica. È fondamentale precisare, tuttavia, come notato da Stanghellini et al. (2009), che una sindrome psicopatologica dovrebbe andare al di là della semplice sommatoria di comportamenti disfunzionali.
Il soggetto e la psicopatologia
Come afferma Minkowski, la psicopatologia dovrebbe essere “l’espressione di una profonda e caratteristica modificazione della personalità umana nella sua interezza”, che consenta di cogliere nell’individuo “l’unità vivente organizzata” dei fenomeni psichici.
Il fine della psicopatologia non è quello di ridurre l’esperienza interiore al substrato neuronale. È invece quello di dare risalto a come il soggetto strutturi la propria relazione personale con la patologia e in che misura riesca a darne un senso nell’arco dell’esistenza.
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La coscienza dell’Io: “Conosci te stesso”
Interessantissima e profonda la sua analisi, dott. Giacomini, dai primi sintomi ai vari stadi della processualità schizofrenica, dalle prime esperienze di estraniamento da se stessi al sentirsi scissi, come frantumati. Per quanto complessa sia la materia, lei ha avuto la capacità di esporla con chiarezza, interpretabile per quel che riguarda la maggior parte del testo anche da chi, come si suol dire, non è “addetto ai lavori”. Come non addetta ai lavori in termini e pratiche mediche, ho però avuto l’occasione insieme ad una collega del corso di arteterapia in cui volevo diplomarmi, di seguire una giovane donna borderline nel suo esprimersi pittoricamente. La sua caratteristica era di partire dal punto centrale della tela, quasi avesse usato il compasso, per la precisione che aveva, e di irradiarne lo spazio, a partire da quel punto, di figure, in tutti i sensi sino all’orlo dei quattro lati. Non sopportava gli spazi vuoti come non sopportava separarsi da noi o imbucare le lettere che scriveva ai suoi nonni, le due figure che troneggiavano sulla tela e che aveva aureolato come santi. Davanti alla buca delle lettere, infilava in parte la busta e la ritraeva e così molte volte prima di decidersi a separarsene. Nel suo mondo interiore risultavano importantissimi i nonni, l’edificio scolastico e la chiesa, tutti punti di forza della sua vita ma perduti. Le porte erano sbarrate in entrambi gli edifici e i nonni erano rappresentati identici, scheletrici, asessuati. Tornando agli stadi della schizofrenia e alla percezione del proprio corpo, in un testo di Silvano Arieti, sono espressi dalla paziente stessa in progressione attraverso i propri disegni, la normalità nella socialità espressa in modo ridondante e via via l’ingresso di elementi bizzarri e inadeguati e infine teste incomplete (della paziente) e in disordine qua e là nel foglio come abbozzi disordinati.
Penso di essermi dilungata un pò troppo e mi scuso. La saluto cordialmente Laura ghiron