Intendiamo per trascendenza tutto quanto va oltre la capacità dell’uomo di controllare in termini razionali la realtà.
Al di là della ragione, esiste il sentimento umano di trascendere, cioè di “andare oltre” se stessi, per superare la propria esistenza contingente, spesso stereotipata ed abitudinaria (che Heidegger definisce “inautentica”).
Un pensiero astratto fondato sulla trascendenza rischia però di allontanarsi dalla centralità dell’essere umano che l’ha formulato, per presupporre l’esistenza di una realtà esterna, autonoma, di una “cosa in sè”.
Spesso nel linguaggio comune si associa il concetto di trascendenza alla religione ed alla spiritualità; in realtà anche lo scienziato che presuppone la Natura come un organismo indipendente dall’uomo sta utilizzando principi basati sulla trascendenza (in questo caso si concepisce Dio come una Natura inanimata).
La storia della filosofia occidentale tende, ricorrentemente, a porre in risalto l’infinita potenza di un Essere che trascende il singolo individuo.
L’uomo, autore del pensiero relativo all’essere ed unico tra gli organismi viventi a porsi il problema dell’esistenza, nella filosofia occidentale tende spesso, paradossalmente, ad autoridursi ad un’inerme e passiva entità, che rispecchia la luce proveniente da una divinità o da un mondo naturale onnipotente.
Nella storia del pensiero occidentale vi sono stati, però, momenti in cui l’uomo ha avvertito l’esigenza di prendere coscienza della propria centralità, come sorgente del pensiero e della riflessione sul mondo (ricordiamo l’Umanesimo, l’Illuminismo con il riconoscimento del potere della ragione individuale e collettiva, il Romanticismo con la riscoperta del ruolo del sentimento).
La psicologia nasce dall’esigenza di studiare il singolo individuo nella sua originalità ed irripetibilità, al di là del suo ruolo di elemento della specie umana.
È di fondamentale importanza, nella relazione col paziente, affrontare il suo punto di vista relativo alla realtà che lo trascende ed ai sentimenti ad essa connessi: se prevale in lui un vissuto di passività, di costrizione, fino ad un senso di annichilimento; o se esiste un sentimento di fiducia, speranza e integrazione in un’entità superiore che lo abbraccia.
K. Schneider, nell’Appendice della Psicopatologia Clinica dedicata alla psicologia dei sentimenti, ha citato i fenomenologi Max Scheler e Nicolai Hartmann, i quali facevano riferimento, nella gerarchia dei valori umani, a sentimenti che possiamo definire “psicospirituali“: ad es. beatitudine, illuminazione, estasi, fede, cui si contrappongono, per antitesi dialettica, i vissuti di angoscia, annichilimento, dannazione, disperazione.
Questi sentimenti psicospirituali risultano diversi dai sentimenti vitali (direttamente connessi a sensazioni biologiche come sentirsi forti-deboli, sani-malati, eccitati-depressi) e dai sentimenti psichici (basati sulla rappresentazione del proprio valore: es. autostima-autosvalutazione, efficienza-incompetenza, dipendenza-autonomia ecc.).
È possibile concepire una scienza psicologica basata sulla trascendenza? Solo se la consideriamo un’esperienza umana: come il nostro sentimento che aspira ad un auto-trascendimento, ovvero al superamento dei limiti che l’essere umano avverte nella propria esistenza quotidiana, per giungere, attraverso la consapevolezza di sè, alla propria autorealizzazione. Essa è un mito, irraggiungibile nella sua compiutezza (corrisponde all’immagine di Dio), ma, come afferma K. Jaspers, è il pungolo, il motore che stimola il soggetto a relazionarsi con il mondo esterno, e quindi a vivere.