La dialettica interiore come principio unificatore di ogni psicoterapia.

I concetti di insight e di Io riflessivo (della psicoanalisi), di autoconsapevolezza (delle terapie cognitive basate sulla mindfulness), di coscienza dell’Io (della fenomenologia) hanno numerose similitudini. Riconoscono, implicitamente, la possibilità dell’essere umano di scegliere di autodeterminarsi, di potere “risvegliarsi” e riconoscere la propria natura autentica attraverso un processo di conoscenza di sè e di autodeterminazione.

Anche il terapeuta comportamentale che “prescrive” al paziente di compiere un’azione (come un’esposizione ad una fobia), non fa altro che indurlo a vivere un’esperienza per conoscere meglio se stesso: affrontare i suoi limiti e riconsiderare l’entità irragionevole di alcune sue paure (una cosa è riconoscere che una paura è eccessiva intellettualmente, un’altra è viverla nel mondo reale).

Ogni essere umano aspira ad avere una piena conoscenza di sé, fino al punto di autodeterminarsi.

Per la legge dialettica dell’interiorità umana, questa aspirazione di autonomia dell’individuo necessita, al fine di concretizzarsi, di una iniziale forma di dipendenza: ovvero la relazione con l’altro (a partire da quella con i genitori, passando per quella con amici e partner, ed eventualmente con la figura dello psicoterapeuta).

La conoscenza di sè è un processo dinamico, in continuo divenire, il cui esito non è ancora scritto da alcun destino predeterminato. Esso si concretizza nella dialettica tra soggetto ed oggetto che avviene in ognuno di noi, in ogni istante.

L’oggetto che è in noi non è altro che l’inconscio: un essere sconosciuto, che è in noi e deve essere progressivamente ri-conosciuto dal soggetto, attraverso la luce della sua consapevolezza.

Sostiene a questo proposito S. Freud:

La psicoanalisi non chiede altro che l’applicazione a noi stessi di questo processo di deduzione (…): tutti gli atti e le manifestazioni che noto in me, e non so come collegare al resto della mia vita mentale, devono essere giudicati come se appartenessero a qualcun altro, e si spiegano con l’attribuzione di una vita mentale a quest’altra persona.

Può essere fonte di inquietudine scoprire che “un altro” abita nel nostro corpo e nella nostra vita psichica. Tale sentimento di rifiuto e di non accettazione si concretizza con i fenomeni di resistenza e con i noti meccanismi di difesa intrapsichici: ad esempio, attraverso diniego, scissione e proiezione possiamo cercare di espellere da noi sentimenti e pensieri intollerabili, che originano dall’ “altro che è in noi”, ed attribuirli ad individui con cui interagiamo. Questo meccanismo si concretizza tipicamente nella personalità paranoide, ma, con modalità meno pervasive, può avvenire in ognuno di noi.

Primo obiettivo della psicoterapia è, come già affermato, riattivare il dialogo interiore.

Il pensiero è sempre costituito da due voci interiori che si confrontano: dobbiamo presupporre, in ogni istante del nostro vivere, l’esistenza di un Io che parla e di un Io che ascolta. Tra i due protagonisti del pensare non vi è mai un’inerte identità assoluta, ma una più o meno aperta e inemendabile contraddizione. Essa è un problema, un segnale di inquietudine, ma al tempo stesso è il pungolo che ci stimola ad essere vigili, coscienti, in sintesi vivi.

La coscienza dell’Io, nella sua dialettica tra soggetto e oggetto, è l’attività psichica che (come afferma K. Jaspers), è anche principio unificatore dell’essere umano, in grado di effettuare una sintesi tra le “voci interiori” e conferire a noi stessi la consapevolezza di avere una personalità unitaria.

La coscienza dell’Io, tuttavia, si deve attivare liberamente per potere agire.

Il principio di libertà del soggetto nasce, dialetticamente, dalla relazione con il suo opposto: l’accettazione di un mio limite, il riconoscimento di un problema nell’esteriorità, ovvero di un ostacolo nel momento presente.

K. Jaspers afferma, a proposito dell’autocoscienza umana:

La contraddizione è il pungolo che determina il suo movimento creativo. (…) Questa volontà, costantemente in lotta con la sua contraddizione, si distrugge quando (…) si meccanizza ed estingue la vita peculiare delle origini.

Se non è attiva l’autocoscienza umana e l’Io riflessivo “dorme”, la mia vita psichica sarà costantemente dilaniata da “voci”, elementi di pensiero prodotti dal cervello automaticamente, in reazione a stimoli ambientali. Essi sterilizzano l’interiorità dell’uomo, che, privato di possibilità di libertà, sarà ridotto ad un automa (ovvero ad un elemento meccanico della natura).

Per questo la psicoterapia può essere efficace solo a condizione che il paziente abbia attivato la propria consapevolezza di volere cambiare, di modificare la propria routine ed i propri automatismi. Lo psicoterapeuta ha la funzione di stimolare un dialogo interiore del paziente, che egli avrà scelto, a priori, di riattivare.

Quella dello psicoterapeuta è una posizione “negativa”: egli non indottrina, non impone i suoi giudizi e la sua visione del mondo ma, ispirandosi a Socrate, cerca di porre il paziente in condizione di conoscere se stesso, incentivando la sua dialettica interiore e mirando idealmente al raggiungimento della sua autonomia di pensiero e di azione.

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