Effettuare una psicoterapia significa, innanzitutto, affrontare la dialettica dei sentimenti che ogni soggetto sviluppa dentro di sè, in modo più o meno consapevole. Non è possibile pensare ad un sentimento senza il suo corrispondente opposto.
I sentimenti sono definibili, secondo il contributo di K. Schneider nella “Psicopatologia clinica”, come stati dell’Io, avvertiti immediatamente (ovvero senza una mediazione razionale strutturata):
A partire dalle sensazioni corporee di sviluppano i sentimenti vitali: ad es., benessere-malessere, forza-debolezza, piacere-dolore.
A partire dalle nostre rappresentazioni della realtà, ovvero come essa viene percepita secondo la nostra personalità, si sviluppano i sentimenti psichici. Si possono proporre innumerevoli esempi di sentimenti psichici contrastanti che vivono in ognuno di noi: amore-odio (che interiormente si traduce in autostima-autosvalutazione), autonomia-dipendenza, gioia-tristezza, angoscia-fiducia, solidarietà-competizione, gratitudine-risentimento, ecc.
Degno di approfondimento è il sentimento dell’ “angoscia”, oggetto storicamente di significative analisi filosofiche prima ancora che psicologiche: di particolare interesse è la posizione di S. Kierkegaard (che ha influenzato l’Esistenzialismo), secondo cui il sentimento dell’angoscia è il motore stesso della vita psichica; l’angoscia è la stessa percezione di un problema, unita alla consapevolezza di diverse possibilità di scelta per risolverlo.
La percezione di un ostacolo, di un problema, infatti, è il fondamentale, presupposto per cui io, in quanto soggetto, mi distinguo da qualunque oggetto (se non avessi alcun problema, vivrei in una sorta di omeostasi con l’ambiente, privo di una coscienza individuale).
Siamo evidentemente in una dimensione molto lontana dal concetto di ansia come sintomo patologico di una malattia del sistema nervoso: ci troviamo di fronte ad un sentimento che si rivela la sorgente stessa dell’esistenza umana.
Come avviene per qualsiasi sentimento, tuttavia, esso non può essere concepibile senza il suo contrario.
Lo stesso Kierkegaard, che si è autoproclamato il “filosofo del l’angoscia”, in altri scritti trasmette emozioni di entusiasmo relative al concetto di possibilità di scelta:
“L’angoscia è la vertigine della libertà“.
“Se dovessi desiderare qualcosa, non desidererei ricchezza e potere, ma quell’ardente senso dell’ottenibile, quell’occhio che, perennemente giovane e entusiasta, vede il possibile. Il piacere delude, la possibilità mai”.
I sentimenti di angoscia e di insicurezza, come noto, si possono tramutare facilmente in vissuti di speranza e di fiducia di autorealizzazione, e viceversa.
Com’è possibile che un sentimento possa tramutarsi nel suo opposto?
Dipende dal punto di vista con il quale l’individuo lo affronta: se egli vive il sentimento passivamente, avvertirà una sensazione di oppressione, di costrizione (“io devo compiere un’azione, prendere una decisione”), da parte del mondo esterno, che sembra dominare il soggetto. Se prevale, invece, il sentimento di attiva appartenenza alla scelta che si opera, l’individuo proverà vissuti di potenza, di gioia e di autorealizzazione (“io voglio prendere una decisione”).
La sensazione di attività, di libertà di autodeterminazione rende l’essere umano pervaso da sentimenti positivi di fiducia in sé e di autonomia, per la convinzione di essere artefice e creatore della propria vita.
Al contrario, la percezione di passività nei confronti del mondo esterno si associa ad una caratteristica sensazione di disagio, di precarietà e di angoscia (non mi sento più artefice del mio destino, ma in balia di forze esterne che mi dominano).
Ma l’essere umano è davvero libero? La libertà di scelta è un concetto dimostrabile empiricamente? Affrontiamo questo problema nel seguente articolo: